Viaggio in Thailandia – giorno 11
Raccolgo tutto, do uno sguardo in giro per assicurarmi di non dimenticare nulla e saluto la capanna che mi ha regalato due giorni di emozioni, nel bene e nel male. Monto sulla moto con lo zainone dietro e quello più piccolo (ma non meno pesante) davanti e vado a fare il check-out più veloce della mia vita. Non scendo nemmeno dallo scooter, dalla sella porgo le chiavi all’implacabile che sta alla reception e ci salutiamo. Bellissimo, niente documenti, registrazioni, carte di credito né prima né dopo. Che vita semplice!
Arrivo al Three Bees e penso che questa guest house è stata il mio punto di riferimento per gli ultimi quattro giorni sebbene non ci abbia soggiornato nemmeno una notte. Seduta ai tavoli fuori c’è la sempre puntuale Daniela con il suo zainone che assomiglia moltissimo al mio e altre tre borse. Facciamo colazione e consegno lo scooter all’agenzia che è proprio lì vicino. Nell’attesa ci chiediamo come faremo una volta arrivati a trovare un hotel dal momento che non abbiamo prenotato proprio nulla. Non lo sappiamo, la guida a nostra disposizione (tutti e due abbiamo una identica Lonely Planet, unica differenza è che la mia è in italiano e la sua in spagnolo, persino le edizioni sono entrambe del 2012) indica degli alberghi ma non si riesce a capire dove siano e come poterli raggiungere. Ridendo ci rispondiamo che vedremo una volta arrivati lì. L’ora del pick-up per Khao Lak è fissata per le 10.20 ma alle 10.50 non si vede ancora nessuno. Chiamo il numero che leggo stampato sul foglio e mi rassicurano che stanno per arrivare. Dopo dieci minuti arriva un signore con un foglio in mano, mi faccio avanti ed è lui che ci porterà. Mi aspetto di vedere un bus e invece ha un’auto normalissima. Un po’ stupito faccio vedere il mio biglietto perché temo ci sia un equivoco ma il tizio pare convinto. Saliamo e ci porta alla stazione degli autobus. E’ lì che dobbiamo aspettare il nostro pullman per Khao Lak. La stazione è come un grande capannone aperto ai lati con un tetto di eternit che ci protegge dal sole, sulla sinistra un grosso tabellone (ovviamente non elettronico) riporta tutte le destinazioni e gli orari. Il nostro è previsto per le 11.30 come un’altra ventina di bus. Ci danno un talloncino bianco adesivo con la scritta a penna Lak da attaccare sul petto. Dobbiamo sederci e aspettare. Appena il pullman per Khao Lak sarà pronto a partire qualcuno chiamerà ad alta voce la destinazione e saliremo. C’è infatti un tipo con un cappello da cowboy che gira senza sosta per la struttura e di tanto in tanto urla una città e punta alcuni viaggiatori che prontamente si alzano e lo seguono. Il tailandese in questione non si ferma mai, voglio fotografarlo ma faccio davvero fatica a comporre la foto che ho immaginato. I suoi giri sono sempre diversi e mi stupisce con scarti degni di un bravo dribblatore, inoltre non credo sia contento del mio obiettivo perché non mi guarda quasi mai sebbene io cerchi in tutti i modi di incrociare il suo sguardo per sorridergli. E’ un tipo tosto e ci tiene evidentemente al suo personaggio. La stazione è piena di gente in partenza, sono in maggioranza occidentali e soprattutto viaggiatori zaino in spalla. Stanno seduti sulle panche di legno ma alcuni bivaccano sul pavimento in cemento in attesa chissà da quanto tempo. Una ragazzo biondo che avrà diciott’anni è per terra e non pare stare bene, una donna rasta sui trent’anni che potrebbe essere la madre gli sta a fianco e lo tocca ripetutamente come per controllarne la temperatura. Penso che ho un’intera farmacia nello zaino e chiedo alla donna dai biondi dreadlock se il ragazzo stia male. Mi guarda come se fossi pazzo e mi sussurra pianissimo che quasi non la sento che si tratta di un esercizio di potenziamento dell’energia dello spirito. Ah, ok, scusa. Mi ritiro al mio posto provando quasi vergogna. Dopo un po’ che la madre ha finito e il ragazzo si è risvegliato da quella specie di trance un gattino si avvicina al figlio e sale sul petto del giovane. I due cominciano a fissarsi ed ho paura che l’esercizio di prima possa avere caricato il giovane un po’ troppo e temo seriamente per il gattino, dall’espressione particolare che fa il ragazzo pare che gli voglia fare qualcosa di strano e immgino, non so, di vedere esplodere il felino da un momento all’altro. Per fortuna ad un certo punto chiamano una destinazione e mamma e figlio raccolgono tutta la loro roba di fretta per prendere il bus. Il gattino è salvo.
E’ ormai mezzogiorno e mezzo e del nostro bus non ho notizia, chiedo al cowboy ma mi dice di aspettare. Verso l’una riprovo a chiedere ma mi fulmina con lo sguardo dandomi la stessa risposta di prima. Nel frattempo la stazione si è quasi svuotata e comincio a preoccuparmi che abbiano chiamato il mio bus e io non lo abbia sentito. Spesso i tailandesi pronunciano le parole in modi insospettabile e sia io che Daniela potremmo non aver riconosciuto la destinazione. Dopo due ore di attesa vedo dei ragazzi che avevano anche loro sul petto la scritta Lak: sono in fondo e salgono su un pulmino bianco. Chiedo ad una hostess della stazione (perché ho quasi paura che il cowboy mi meni) e lei mi dice che quello è il bus per Khao Lak e che sta per partire. Corro a recuperare i miei bagagli e spiego a Daniela che stiamo perdendo il pullman. Il mezzo è in moto ed è pieno, per fortuna sono rimasti appena due posti liberi e riusciamo a salire per un pelo. Uno dei due si deve sedere davanti al lato dell’autista, faccio il gentiluomo e offro il posto a Daniela perché potrebbe soffrire di mal d’auto. La galanteria mi costa, perché quella sarebbe stata la posizione ideale per scattare foto durante il tragitto, ma sono stato cresciuto alla vecchia maniera e cedo volentieri il posto, io mi sistemo dietro. Dal finestrino scorgo il cowboy e lo guardo mandandogliene tante che spero che stasera, quando si toglierà il cappello dalla testa, si ritrovi una bella alopecia a mo’ di francescano.
Il viaggio dura due ore e mezza e io, visto che non posso scattare, ne approfitto per lavorare sulle foto e sul diario del giorno prima con il mio portatilino; penso che alla fine è anche meglio così, in questo modo mi porto un po’ avanti con il lavoro e spero almeno stasera di non fare troppo tardi. A metà tragitto ci fermiamo in una stazione di servizio della zona ed è interessante notare la differenza con i nostri autogrill. Mi colpiscono soprattutto i bagni che sono adornati da tantissimi fiori. Trovo davvero belloguarnire le latrine che normalmente sono considerati luoghi da nascondere, quasi a voler dimenticare quella parte più naturale in noi che vorremmo eliminare ma che purtroppo è imprescindibile. C’è poi un bancone della frutta che espone i suoi meravigliosi colori e corro a fotografarlo. La venditrice è in fondo e vorrei che fosse più in primo piano. Faccio allora come al mio solito e mi accovaccio con l’inquadratura pronta aspettando che si sistemi più vicino a me e che magari serva qualche cliente. Già mi immagino la foto che vorrei e aspetto pazientemente che si componga più o meno come l’ho visualizzata. Vedo la ragazza abbassarsi e immagino che stia prendendo qualcosa da sotto il bancone, aspetto che riemerga. Dopo un po’ di minuti comincio a preoccuparmi perché non è più spuntata, e le mie gambe cominciano a dolermi. Ma come sapete, quando fotografo, sono molto paziente (in realtà lo sono anche in tante altre situazioni altrimenti non avrei potuto esercitare per diversi anni anche il mestiere dell’insegnante) e rimango accovacciato ancora in attesa che la fotografia si componga come la voglio. Ma la ragazza non risale più. Che fine avrà fatto? Dopo un po’ sento un rumore, qualcosa è caduto, vedo la gente che si gira a guardare dietro il bancone e altri del negozio che si avvicinano e tirano su la ragazza. All’inizio non capisco ma poi dai gesti intuisco cosa è successo: la venditrice si era letteralmente nascosta dietro una pila di meloni affinché non la fotografassi e per servire un cliente si era spostata quasi carponi ed è inciampata in una cassetta finendo ruzzoloni. Tutti mi guardano mentre lei mi indica e ridono gioisamente e mi unisco anch’io all’ilarità. Incredibili a volte questi tailandesi: la ragazza, pur di non dispiacermi dicendomi semplicemente di non fotografarla, ha preferito rimanere piegata nascosta per diversi minuti!
Arrivati a khao Lak il bus ci lascia proprio davanti un ufficio informazioni, perfetto ci diciamo (in realtà qui gli uffici di informazioni sono delle agenzie turistiche private che vendono principalmente escursioni, però sono un ottimo punto di riferimento per il viaggiatore che arriva). Il ragazzo al bureau è molto efficiente e con un chiarissimo inglese ci dà tutte le informazioni di cui abbiamo bisogno. Per prima cosa ci spiega che l’isola di Similan (che è dove vorremmo andare) è un parco nazionale e pertanto le sistemazioni lì sono conteggiate. Ci sono solo Bungalow e tende, i bungalow costano 2400 bath a notte e le tende 300. A questo costo va aggiunto il passaggio di andata e ritorno. Il nostro budget non ci permette di prendere il bungalow quindi le uniche opzioni che rimangono sono la tenda oppure dormire in un albergo qui e andare sull’isola con un’escursione di una giornata. L’idea della tenda per un attimo mi seduce, è una soluzione economicissima e mi permetterebbe di dormire su Surin cosa che mi piacerebbe moltissimo, ma di colpo mi ricordo delle formiche volanti e delle vespe di ieri sera e senza nemmeno consultare Daniela dico no, un albergo qui. Subito dopo guardo la mia compagna di viaggio quasi per chiederle scusa e sapere la sua opinione e per fortuna anche lei è d’accordo. A questo punto l’impiegato ci mostra dove sono gli alberghi a Khao lak. Ha una mappa e ci fa vedere due vie parallele, una lungo la spiaggia e un’altra che è la via principale ed è esattamente dove siamo noi. Ci spiega che quelli sulla spiaggia sono da 8000 bath in su e quelli sulla strada tra i 1000 e i 2000 bath, ovviamente optiamo subito per la strada con gli alberghi per i pezzenti senza nemmeno bisogno di consultarci. Chiediamo se ce ne consiglia uno e ce lo indica, ha stanze da 1100 bath, 550 bath a testo, mi sta bene. Prima di andare all’albergo però voglio dare un’occhiata su internet perché non vorrei farmi fregare, magari il tipo ci vuole appioppare l’albergo dove ha la commissione e ce ne perdiamo di altri più economici e migliori. La ricerca sulla rete però mi restituisce solo hotel di categoria superiore, dopo un po’ che cerco mi secco e decido di andare all’albergo che ci ha suggerito. Per fortuna è vicino e ci arriviamo senza troppo affaticare le schiene nonostante i pesanti zaini. Sulla stessa via c’è un altro albergo e giusto per scrupolo chiedo il prezzo: 1200. Ok, il tipo ci ha suggerito bene allora. Andiamo al Fansai House e una ragazza pienotta molto dolce ci accoglie cordialmente. Faccio un po’ di fatica a farle capire che vogliamo una stanza doppia e non una matrimoniale. Alla fine riesco a spiegarle che vogliamo due letti singoli e ci indica la 103, la stanza però è libera solo per una notte, ed è l’ultima (in realtà è matrimoniale ma i letto si può dividere in due). Ci può bastare. Noto però che la receptionista ci guarda attentamente poco convinta, immagino stia cercando, senza riuscirci, a trovare qualche somiglianza nei nostri tratti per capire se siamo fratello e sorella. Le sorrido e lei sorride abbassando lo sguardo. Visitiamo la stanza, ci va benissimo, con giubilo noto che c’è l’aria condizionata (io che sono ambientalista è la prima volta in vita mia che sono contento di vedere un condizionatore), alla faccia degli insetti, penso. La prendiamo, la ragazza ci dà le chiavi e non ci chiede né documenti né nomi. Vado per prendere il portafogli ma dice che possiamo pagare al check-out. Ammazza che fiducia, mi dico. Sistemiamo le nostre cose e torniamo all’ufficio informazioni per comprare l’escursione di domani all’isola di Similan. In realtà Federico ci aveva spiegato che Similan è ormai abbastanza turistica e sarebbe meglio vedere Surin, che è sempre un parco nazionale ma molto meno frequentata. Purtroppo vedendo la guida ci eravamo resi conto che Surin è molto più in là e saremmo dovuti andare in un’altra località più a nord per imbarcarci. All’agenzia chiedo all’efficiente impiegato, giusto per provare, se per caso Surin si può raggiungere anche da qui. Risponde di sì, che è appena una mezz’oretta in più di barca. Ci entusiasmiamo e con un sorriso a 32 denti gli diciamo che compriamo allora l’escursione a Surin. Ci riferisce che è tutto esaurito per domani. Il mio entusiasmo si sgonfia come se più che essere bucato fosse stato tagliato di netto come un pallone di ragazzini che giocano. Non mi do per vinto e penso che ci sono tante altre agenzie e così ci alziamo e andiamo in un altro ufficio informazioni. Lì ci accoglie un giovane tailandese con un naso largo, alcuni denti mancanti, una faccia tonda, tanto gel e un sorriso gioviale. Dice di avere posto e che costa, prezzo speciale, 2500 bath, cioè 100 bath in più dell’altro ufficio. Giusto, è un prezzo speciale, bisbiglio a Daniela, ma se ha posto va benissimo. Si mette a telefonare e prende una serie di no, pare che tutte le barche siano piene. Ma ad ogni no che prende lui risponde con una bella risata e chiama con una velocità inverosimile un altro numero, e altro no, e altra risata. Io e Daniela cominciamo a ridere pure noi perché è davvero contagioso il suo ottimismo e mi sento che riuscirà a trovarci un posto. No, e risata, ancora un no, e ancora giù a ridere. Di colpo diventa serio, mi preoccupo, forse ha finito le possibilità, ma ci dice che ha trovato il posto. Scoppiamo tutti e tre a sghignazzare.
Fatti i biglietti gli chiedo come poter raggiungere Khanom da qui (devo recuperare la mia roba da Umberto), Dobbiamo prendere un bus per Suratthani, che passa da qui ogni due ore. A che ora è l’ultimo? Alle 5 del pomeriggio. A che ora torniamo dall’escursione? Alle 5 del pomeriggio. Ok, abbiamo un problema. Lui si fa una bella risata e ci suggerisce di andare all’escursione portandoci tutti i bagagli, lasciando quello che non ci serve al deposito al molo prima di andare a Surin in modo da recuperarli quando rientriamo. Poi, dal molo, saliamo sul bus che ci deve riportare qui e chiediamo all’autista di lasciarci prima, in un punto dove il bus per Suratthani passerà intorno alle 5 e mezza. Lui la racconta in un modo che sembra facilissima, ride tanto e quasi quasi mi convince. Mi disegna pure una cartina affinché possa capire bene dove prender il bus. Ci alziamo dalla sedia e andiamo verso il lungomare confrontandoci sulla strategia suggeritaci dal gaio impiegato, non so come ma non appena mi allontano una ventina di metri dall’ufficio tutto quel piano mi pare davvero tirato per i capelli e di difficile applicazione. E’ come se tutto l’ottimismo dell’impomatato agente di viaggio, superato il raggio di azione, non abbia più effetto su di me. La cosa più logica adesso mi pare fermarci una notte in più qui e ripartire per Khanom l’indomani mattina. Il problema, mi fa notare Daniela, è la stanza che è solo per una notte. Bene, rispondo io, chiediamo se ci possono spostare di stanza, nel peggiore dei casi andiamo nell’altro albergo che ha camere con appena 100 bath in più. Così facciamo. La ragazza del Fansai ci vede arrivare e ci scruta con il suo sguardo indagatore, le chiediamo se possiamo rimanere una notte in più cambiando stanza e ci dice che non c’è problema e che possiamo persino rimanere nella stessa. Non capisco come mai ma la notizia mi pare ottima e non faccio ulteriori domande.
Andiamo più sereni a farci la passeggiata a vedere il lungomare. Durante il tragitto capisco pure perché gli alberghi vicino alla spiaggia costano così tanto: perché sono dei resort con appartamentini non tanto ‘vicino’ la spiaggia ma ‘sulla’ spiaggia. Una spiaggia enorme. Casettine con verandina vista mare, immerse nel verde, con ponticelli, prato verde, fontane e lettini da massaggio tutto per i clienti del resort. Hai capito? Penso. I clienti sono quasi tutti di una certa età, e sembrano molto distinti e soprattutto molto contenti e rilassati. E ci credo, aggiungo io. Passeggiamo sulla spiaggia e vedo dei ragazzi giocare a pallone, mollo zaino e sandali a Daniela (che ormai si è rassegnata a farmi da assistente) e mi butto nel mezzo a fotografare i ragazzi. Questi si dimostrano da subito ben felici di sfoderare i loro palleggi a beneficio del mio obiettivo. Mi faccio prendere dalla situazione e pian piano il sole cala mentre scarico una raffica di scatti sui corpi in movimento dei ragazzi. Ad un certo momento la batteria si scarica e mi accorgo di aver lasciato in camera la pila di scorta. Ok, per oggi ho finito con le foto.
Al ritorno ci fermiamo a mangiare un boccone e via in camera. Io mi metto subito a lavora al computer e Daniela se la passa fuori sulla verandina. Anche oggi faccio tardissimo e vado a letto distrutto.
Quando vai nell’interno? Mi sono venute in mente altre cose. Mi regali la foto col gatto? Ne troverai tanti in giro, di gatti, sono bellissimi e ben curati