Fotografo di terza generazione mi sono dedicato alla fotografia sin da giovanissimo lavorando nello studio di famiglia. Ho cominciato presto a viaggiare e scattare per conto mio dedicandomi con passione anche allo studio della letteratura e delle lingue. Mi sono laureato tra l’Italia e l’Inghilterra e dopo alcuni anni vissuti tra l’Europa e il Sud America, passati a leggere, scrivere, disegnare e fotografare, ho cercato di elaborare un mio stile fotografico che potesse sintetizzare i miei tanti interessi artistico-culturali. Nel 2000 mi sono trasferito a Milano e mi…
Premessa (romantica)
Il firmamento mi ha sempre riempito di stupore. Ho indelebile un ricordo che risale a tantissimi anni fa: ero bambino, avrò avuto 4 o 5 anni al massimo, eppure il ricordo è vividissimo, non so quanta di questa memoria sia realtà e quanta sia rielaborazione romantica del mio cervello di bimbo divenuto adulto, eppure è là, cristallina, come fosse avvenuta appena qualche mese fa, ed invece è passata una vita intera.
Ero con Uccio, il mio migliore amico di quegli anni, una sorta di fratello gemello con cui condividevo avventure e scorribande. Ed io ero come Arturo la cui isola era la campagna solcata da una ferrovia centro delle mie bravate e delle angosce più profonde di mia madre, ad ogni fischio di treno il terrore trasfigurava i connotati della mia giovanissima mamma di allora: “Antonio dov’è?” era la domanda che le scappava di bocca stonata e tremante di paura, perché io, con Uccio, gravitavo costantemente lungo la linea ferrata, e spessissimo giocavo spensierato sui binari, incurante del treno che, a mio pensare, doveva casomai fermarsi ‘iddu’ perché, la “ferrovia mia è!”, come ripetevo a me stesso e ai monelli della mia banda di cui ero indiscusso capo.
Quella tarda sera d’estate non ero sui binari però, perché col buio la linea ferrata, chissà per quale motivo, per noi monelli perdeva totalmente il suo fascino, ma ero coricato a pochi metri da essa, per terra, su un minuscolo fazzolettino di prato di gramigna con a fianco Uccio. Forse stanchi di qualche corsa a perdifiato ci eravamo buttati a terra supini con lo sguardo verso il cielo. Quello che non ricordo bene è il prima e il dopo di questo frammento di memoria, ma sento ancora oggi a distanza di 40 anni l’emozione che provai in quel momento: guardando il cielo stellato sopra di noi, senza dire nulla ad Uccio, ma sicuro che lui sentisse i miei pensieri e lo stupore per la meraviglia dello spettacolo sopra di noi, tremai d’immensa felicità. Non gioia, no, pura, semplice e totale felicità. Silenzio, nessuna parola, solo i nostri respiri affannati che pian piano si placavano e le pupille dilatate dal buio, adrenalina e stupore per aver visto per la prima vera volta le stelle in tutto il loro splendore.
Se mi chiedessero oggi come immagini il paradiso, credo proprio che risponderei: una sera d’estate da bambino a guardare le stelle condividendo quel momento con una persona cara.
Questo è il mio primo ricordo della meraviglia del firmamento. A questo si aggiungono le serate di alcuni anni dopo passate sul terrazzo di un palazzo di città insieme a Pierpaolo, altro migliore amico del periodo, a fissare il cielo con un binocolo cercando, senza alcun successo, di vedere i pianeti e accontentandoci invece del volto impassibile della luna molto più vicina e disponibile. Ma quelli erano anche gli anni dell’adolescenza e, si sa, la felicità non la si scorge più perché si comincia a cercarla, invece di viverla, convinti di trovarla nell’evanescente scia di profumo lasciato dall’altro sesso che fugge via.
Tanti anni sono ormai passati, non solo per me, ma anche per il mio territorio, e con essi sono arrivati stanchezza per il sottoscritto e inquinamento luminoso per la terra che per tanto tempo mi hanno scoraggiato dal cacciare le stelle.
Ultimamente però, merito di alcune recenti imprese astronomiche dell’umanità di cui hanno parlato tanto i mezzi di informazione e di alcune immagini spettacolari del cosmo rimbalzate dai media, mi è tornata l’antica voglia di sollevare il naso verso le stelle e dunque di fotografarle. Sprovvisto, come sono, di attrezzatura telescopica, ciò che per un fotografo, e per la normale dotazione fotografica, è possibile fotografare sono due cose: la luna e la Vie Lattea. Delle due, mi affascina sicuramente di più la seconda. Così recentemente ho deciso di mettermi in gioco e provarmi in un campo fotografico per me assolutamente inedito e al tempo stesso di rispolverare un antichissimo amore: le stelle.
Ovviamente ho dovuto studiare un pochettino ma per fortuna oggi aggiornarsi, grazie ad internet, è di una semplicità alcune volte disarmante: siti e video tutorial sono infiniti, ho dunque impegnato quasi un’intera pigra nottata nell’aeroporto di Orio Al Serio, nell’attesa di un volo di ritorno a casa, a documentarmi in merito.
Studiando ho capito che per questo tipo di fotografia la pianificazione è fondamentale, e così mi sono messo sotto.
La pianificazione (indicazioni pratiche)
Come prima cosa dovevo trovare il posto migliore per riprendere il cielo senza che vi fosse troppo inquinamento luminoso, e per fare ciò ho utilizzato il sito Dark Site Finder https://darksitefinder.com/map/ che offre una fantastica mappa del pianeta accessibile a tutti e zoomabile, e che permette di vedere il grado di inquinamento luminoso di qualsiasi sito della terra.
Con mio grande dispiacere ho scoperto che la Sicilia, dove vivo, non è assolutamente un luogo indicato per l’osservazione astronomica (come potete vedere non vi è alcun punto grigio se non in mare aperto). Ero convinto che in campagna, o comunque sui nostri rilievi, la situazione fosse buona, e invece solo alcune isolette un po’ più lontane della costa possono essere dei buoni siti, il resto è fortemente inquinato. Inoltre, abitando in questo periodo a Mazara del Vallo, che si trova sulla costa a sud-ovest della Sicilia, l’unico modo per allontanarmi dalla luce per me rappresenta la direzione nord-est, però il problema è che la via Lattea, nel periodo di massima visibilità nel nostro emisfero (maggio-settembre) sorge verso sud/sud-ovest, esattamente verso Mazara del Vallo e la costa, cioè la parte più inquinata da un punto di vista luminoso. Se a questo aggiungiamo che per il mio primo tentativo non avevo alcuna voglia di viaggiare ore e ore e magari tornare con un pugno di mosche in mano, mi sono accontentato di andare in direzione Salemi proprio all’inizio dell’area un po’ meno inquinata.
Dopo aver scelto approssimativamente la zona, ho scelto la data. Per il mio primo tentativo ho deciso di scattare in un giorno totalmente senza luna (anche se in verità il fattore luna è una variabile gestibile in base al suo tramontare e sorgere, e la cui presenza può anche essere utile per illuminare elementi del territorio che è meglio includere nello scatto). La mia decisione di escludere totalmente il nostro caro satellite è stata dettata dalla necessità di rendere tutto di semplice gestione vista la mia inesperienza in materia. Per fare ciò ho utilizzato un calendario online (vanno benissimo anche quelli della nonna o di farmacie e supermercati che abbiano le fasi lunari), nello specifico: https://www.timeanddate.com/calendar/
Una volta scelto dove e quando scattare ho usato un paio di altri strumenti per completare la pianificazione: per sapere esattamente in quale direzione guardare per trovare la Via Lattea che, soprattutto dove il cielo non è nelle condizioni di luce ottimali, non è facile da individuare ad occhio nudo, uno strumento molto utile è Stellarium, disponibile come software o come sito a consultazione libera, io ho preferito la versione online: https://stellarium-web.org/. Stellarium, avute le coordinate di dove pensate di scattare e la data e l’ora dello scatto, vi fa vedere esattamente dove si troverà la Via Lattea e la sua migrazione nel cielo.
Altro sito/app che ho utilizzato per assicurarmi di avere il massimo livello di buio è stato the Photographer ‘s Epehemeris https://www.photoephemeris.com/
Fatta tutta la pianificazione teorica, sono passato a quella pratica, cioè quello che, in termini tecnici, si chiama “location scouting’, cioè andare di persona a trovare, con precisione, il posto ideale dove scattare guardando i luoghi in maniera non più virtuale ma reale. Ho afferrato la bussola (che tengo sempre nello zaino fotografico) e, un paio di giorni prima della data scelta, sono andato, in pieno giorno, nella zona precedentemente individuata con l’intenzione di fare alcuni scatti fotografici ai posti che potevo trovare interessanti usando semplicemente il mio cellulare, la sua geolocalizzazione e Google Maps per poi ritrovarli con estrema facilità. Il mio intento era trovare degli elementi nel panorama che potessero essere interessanti e da includere nello scatto.
Il primo sito che mi è subito piaciuto era caratterizzato da un baglio diroccato che aveva tutto il fascino di un quadro di Turner, il problema era però che si trova sul finire della zona a maggiore inquinamento luminoso e quindi con scarse condizioni di luce, la posizione della via Lattea inoltre non sarebbe stata esattamente tra le due pareti diroccate così come avrei voluto, ma potevo contare sulla rotazione verso ovest della galassia (che nel giro di pochi minuti si sposta parecchio nel cielo) e quindi ho pianificato di fare questo scatto più tardi nella notte. Il posto non è molto accessibile, arrampicandomi con difficoltà tra le macerie mi sono anche procurato un bel graffio con un ferro arrugginito sullo stinco sinistro (per fortuna ho fatto il vaccino contro il tetano non molti anni fa). Ancora oggi a distanza di due settimane rimane il segno, ed è per me una sorta di cicatrice di cui vado infantilmente orgoglioso.
Il secondo sito che ho individuato era un casolare sulla curva della Strada Provinciale 50 già in una zona meno luminosa, molto accessibile e anche con uno spazio dove nascondere l’auto.
Per il terzo sito ho deciso di allontanarmi maggiormente dalla costa puntando verso le colline di Salemi, e per la precisione salendo sul più vicino parco eolico, per una condizione di luce decisamente migliore, sia per la lontananza dal centro abitato di Mazara sia per la leggera altitudine.
Ho salvato i tre posti su Google Maps per ritrovarli nottetempo senza alcuna difficoltà e sono tornato a casa convinto che qualcosa di buono sarebbe uscito fuori.
L’attrezzatura
Fatto il lavoro preparatorio online e l’escursione di ricognizione sul campo, ho atteso il giorno dello shooting per preparare con calma tutta l’attrezzatura che ho scelto per la situazione fotografica che mi apprestavo ad affrontare: Nikon d750 (che ho preferito ad altri miei corpi macchina perché tiene molto bene gli alti iso), obiettivo Nikon 14-24 f 2,8 (lente perfetta per l’eccezionale qualità ottica e la luminosità), fish eye Nikon 16 mm f 2,8 per qualche scatto più creativo, scatto remoto a radiofrequenza (e anche quello con filo come scorta), flash Nikon SB910 per luce aggiuntiva e un potente pannello luce continua a led della Neewer con batterie per ulteriore illuminazione nel caso ne avessi avuto bisogno, treppiede Manfrotto super pesante e stabile, bussola, un paio di stativi, e per finire: pantaloni e scarpe da trekking, gilet con tasconi e faretto a led da minatore per sembrare un cacciatore da caverna. Tutto pronto per la spedizione notturna, alle 22:30 mi sono avviato.
Fase di scatto (considerazioni intime e indicazioni tecniche)
Il primo scatto è stato il secondo sito (il casolare sulla curva). Non vi nascondo che i latrati lontani e scatenati di un folto branco di cani randagi che sembravano avvicinarsi hanno fatto da inquietante sottofondo e mi hanno tenuto in allerta per tutta la fase di scatto (durata almeno mezz’ora). In un posto tanto isolato, immerso nel completo buio ogni suono diventa sinistro. In una terra bellissima e anche strana come la provincia di Trapani (dove almeno un latitante super ricercato ancora si nasconde), non solo il pensiero di animali affamati ma anche quello di qualche predatore umano facilmente si arrampica strisciante come un insetto su per la nuca e ti tiene in continua tensione. Per le tre ore abbondanti che mi ha impegnato l’intera sessione di shooting ho avuto i peli irti sulla schiena.
Tecnicamente in questi casi il problema maggiore è il buio, inquadrare e mettere a fuoco sono un grosso problema. Ho dunque impostato la macchina ai massimi iso e fatto degli scatti per avere la giusta inquadratura. Con il live view ho messo manualmente a fuoco una stella, e poi ho impostato la macchina in manuale a massima apertura (f 2,8 nel mio caso), bilanciamento luce sole (in modo che non cambiasse nei vari scatti) e, per i tempi di scatto, ho usato, invece che la regola del 500, quella del 300, cioè 300 diviso la focale della mia lente (14mm messa a massimo grandangolo), con la regola del 300 si è già proprio al limite massimo dei tempi. Sinceramente non capisco per quale motivo la regola del 500 sia diventata famosa dal momento che, così come ho letto e ho poi sul campo constatato, fa venire le stelle mosse (sì, anche le stelle si muovono, o meglio, la terra ruota e, sebbene lontanissime, esse per noi si spostano nel cielo, con grandissima lentezza e per questo non ce ne accorgiamo ad occhio nudo ma la macchina fotografica, con i tempi lunghi di scatto di doversi secondi, ne registra le scie di movimento). Ovviamente ho sempre scattato in raw.
Ho eseguito diversi scatti, alcuni per il cielo (iso 800, f 2,8 e 10 secondi di scatto, e focale a 14mm) e altri per il casolare e il territorio (iso 800, f 2.8, 48 secondi di scatto, e focale a 14mm e colpi di flash). In realtà poi per il casolare ho utilizzato principalmente uno scatto non illuminato dal flash, ma da un’auto (unico mezzo che è passato durante quella mezz’ora di scatto) che con i fari ha illuminato l’edificio con una luce che mi è piaciuta di più del flash (in verità ho utilizzato anche una porzione di uno shoot con il lampeggiatore per le cime degli alberi).
Ecco i due scatti principali che ho scelto così come usciti dalla macchina e che mostrano un inquinamento luminoso abbastanza marcato.
Il secondo scatto l’ho eseguito nel parco eolico sotto un imponente aerogeneratore. Qui le condizioni di luce erano decisamente migliori e, visto che il buio era più intenso, ho deciso di dare principale risalto alla via lattea piuttosto che ad altri elementi, nello scatto ho voluto inserire anche le pale dell’eolico per dare alla fotografia un minimo di contesto e anche una piacevole geometria con linee di fuga. Anche in questa occasione ho utilizzato la tecnica precedentemente descritta per l’inquadratura e la messa a fuoco, e anche qui gli strani rumori (questa volta non latrati ma suoni di insetti e animali per me totalmente sconosciuti) hanno messo a dura prova i miei nervi. Ad un certo momento, chinandomi per guardare nell’obiettivo mi sono sentito toccare il fondoschiena, per la paura ho fatto un balzo così esagerato che mi ha fatto inciampare e rotolare per terra, con il cuore in gola, convinto di vedere qualcuno che mi stesse venendo addosso con un coltellaccio o qualcosa di simile, ho alzato gli occhi spalancati e mi sono accorto che invece era stato un innocuo cespuglio a toccarmi con i suoi rami rinsecchiti e lì sono scoppiato a ridere irrefrenabilmente come un demente e con le lacrime agli occhi. Per fortuna, per il resto dello scatto la tensione si è abbassata e ogni tanto riprendevo a ridere.
Pure qua ho eseguito più scatti, ho utilizzato anche il fish eye, ma alla fine ho scelto solo un fotogramma: iso 800, f 2,8 e 20 secondi di scatto, e focale a 14mm (con il 14-24).
Terzo scatto, nei ruderi del baglio di campagna, stessa procedura di prima, anche qui rumori strani e intellegibili, e due scatti scelti: uno per il cielo (iso 1600, f 2,8 e 10 secondi di scatto, e focale a 14mm) e uno con l’edificio e me che con la torcia lo illumino, un classico di questo genere fotografico (iso 1600, f 2,8 e 10 secondi di scatto, e focale a 14mm). Ho fatto qualche scatto con il fish-eye ma non li ho poi scelti. Dalle immagini è evidente che l’inquinamento luminoso qui è molto forte, a tal punto che ho dubitato molto che avrei potuto utilizzare questi scatti perché temevo di non riuscire a evidenziare sufficientemente la parte bassa della via lattea.
Fatte le foto nelle tre location così come da programma, senza essermi rotto nessuna gamba per le condizioni del terreno e senza essere stato sbranato da cani randagi o aggredito da pipistrelli o morso da ragni o altri animali/insetti della campagna, e senza essere stato nemmeno sequestrato o fatto fuori da lupara bianca, verso le 2 e mezza del mattino mi sono infilato in macchina ben contento di tornare nel conforto della maleducazione cittadina.
Post-produzione
Per la fase di sviluppo dei files raw ho utilizzato Adobe Lightorrom Classic CC ed è davvero impressionante quante informazioni in termini di luci e colori si possono recuperare, soprattutto utilizzando dei files generati da macchine professionali come la meravigliosa Nikon d750.
Per tutti gli scatti del cielo ho aumentato l’esposizione, aggiunto un po’ di contrasto, alzato le alte luci, abbassato le ombre, alzato i bianchi, e abbassato i neri. Per gli scatti del territorio ho fatto più o meno l’opposto. in tutte le immagini ho aumentato leggermente texture, clarity, vibrance. Soprattutto per il cielo ho molto utilizzato il pennello di Lightroom, le curve, lo split toning, e ho abbassato il rumore. La fato che mi ha dato meno lavoro di post-produzione è stata quella con le pale eoliche perché le condizioni di luce erano decisamente migliori. Al contrario, la foto del casolare, ma soprattutto quella del rudere, mi hanno impegnato parecchio per cercare di fare emergere la galassia isolandola in qualche modo dalla luce che rimbalzava dal territorio, inoltre la scelta di usare più scatti mi ha obbligato all’utilizzo, oltre che di Lightroom anche di Photoshop. La foto del baglio terremotato è quella che ha necessitato sicuramente di maggiore lavoro.
Ecco gli scatti finali in ordine di scatto.
Conclusioni finali
Fotografare la via lattea è stata una sfida abbastanza impegnativa perché non è un tipo di fotografia a cui sono abituato e soprattutto perché fotografarla in zone con un alto livello luminoso è davvero difficile. inoltre è un tipo di fotografia che richiede molta pianificazione e poi sul campo il buio rende l’esecuzione dello scatto più complicata. Devo però ammettere che anche se non sia ha attrezzatura specifica per la fotografia astronomica, con una buona dotazione fotografica, si possono ottenere discreti risultati. Infine tutta l’esperienza, comprese paure e risate, è stata sicuramente indimenticabile, e al di là dei risultati che possono essere più o meno riusciti, è qualcosa che sicuramente consiglio a tutti. Sinceramente non vedo l’ora di ritrovarmi in un luogo come il Deserto di Atacama tra Cile e Bolivia (di cui ho memoria carissima e vividissima e che non ho qui raccontato per non rendere questo post ancora più interminabile di quanto già sia), luogo dove la meraviglia del firmamento è così prepotente da essere apprezzabile ad occhio nudo senza bisogno alcuno di alzare digitalmente le alte luci e abbassare i neri.
Penso che quando avrò nuovamente l’occasione di trovarmi in zone con bassi livelli di inquinamento luminoso ripunterò il mio obiettivo al cielo di notte e vi renderò partecipi dei risultati che, spero, grazie a questa prima esperienza, possano essere ancora più interessanti.
P.S.
Se questo articolo ti è piaciuto lascia un commento e/o metti un ‘like’ sui social e condividilo affinché anche gli altri possano leggerlo, inoltre non dimenticare di seguirmi su Instagram grazie.
La fotografia creativa non è di sicuro il mio forte, non che non mi piaccia, ma sono tanti i rami della fotografia che è davvero impossibile seguirli tutti. La fotografia di alberghi, e in generale di interni, è ciò a cui mi sono dedicato maggiormente e rappresenta la mia specializzazione, è lei infatti che professionalmente mi ha dato più soddisfazioni. Nel (poco) tempo libero mi dedico principalmente alla fotografia da viaggio (non quanto vorrei purtroppo), da paesaggio e alla street photography.
Mia sorella Elena, attrice che ultimamente si è cimentata con ottimi risultati nella regia di cortometraggi, qualche giorno fa mi ha chiesto di realizzare una fotografia per un suo imminente spettacolo dal titolo “Violenza Vola Via”, una serata sulla violenza contro le donne durante la quale sarà proiettato il suo omonimo corto (premiato con il primo premio all’ultima edizione del Cefalù Film Festival). La mia prima risposta, come quasi sempre, è stata di getto ‘no, non ho tempo”, ma poi, conoscendo bene le intenzioni del suo spettacolo, nella velocità di cui solo la mente umana è capace, ho visto l’atmosfera che avrebbe avuto quella fotografia, mi sono reso conto che sarebbe stato qualcosa di molto diverso dai miei soliti scatti e ho sentito improvvisa la voglia di sperimentare.
Ho deciso quindi che la foto sarebbe stata pittorica, onirica e lunare.
Per fare ciò ho pensato di utilizzare la mia solita tecnica dei multi-scatti, detta in parole povere, faccio più scatti con utilizzo del treppiedi, e prendo di ogni scatto quello che mi piace di più.
Dopo un rinvio di una settimana, perché il tempo non era ideale, abbiamo fatto l’alzataccia, e ci siamo posizionati in un luogo geograficamente suggestivo: a Capo Lilibeo di Marsala, la punta estrema ad occidente della Sicilia. Ho piazzato le scarpette rosse simbolo dello spettacolo nel punto dove sarebbero state le figure femminili e abbiamo aspettato l’alba per avere la magia delle prime luci. Il primo scatto l’ho realizzato con una velocità di otturatore di circa 15 secondi utilizzando un filtro ND per poter ottenere una mare che fosse cremoso e surreale.
Dopo ho fatto piazzare le figure femminili (in ordine: mia sorella Elena, l’attrice Noemi Piccionello, e la ballerina Mara Rubino) nel punto esatto che avevo stabilito, e ho scattato usando un filtro polarizzatore.
Successivamente ho chiesto a Federico, che faceva da assistente, di tenere un flash aggiuntivo per simulare la luce della luna che avrei messo dopo in post-produzione. Per fare ciò era necessario un flash potente (che potesse vincere la luce del giorno) e portatile al tempo stesso, ho quindi utilizzato un comodissimo quanto efficace Phottix Indra360 TTL che ho radio-pilotato senza problemi grazie al sistema Phottox Odin II TTL. La parte difficile qui è stato per le modelle tenere la posizione costante, cercando di muoversi soltanto per respirare. Devo dire che sono state bravissime e pazientissime, soprattutto Mara che poverina ha dovuto tenere il braccio sinistro in alto in quella scomoda posizione per un tempo sufficiente a fargli dolere la spalla. Grazie Mara!
Ho così fatto più scatti.
In post produzione ho dopo unito gli scatti correggendo i piccoli errori di sovrapposizione, e ho anche cambiato il formato rendendo la foto più panoramica (la roccia inferiore l’ho alzata usando la ‘trasformazione libera’ di photoshop). Ho aggiunto il riflesso delle modelle e degli scogli ai quali ho applicato un filtro di ‘motion blur’. Ho creato delle stelle aggiungendo del ‘rumore’ e utilizzando il pennello per quelle più evidenti. Ho inserito, come fotomontaggio puro e semplice, una luna e relativo riflesso sull’acqua, e i gabbiani per richiamare il titolo. Infine ho lavorato su colori e chiaroscuri utilizzando principalmente layers e filtri.
Qui potete vedere il prima e il dopo.
Et voilà! con l’augurio che Violenza Vola Via possa contribuire, anche se nel suo piccolo, a cancellare un vergognoso comportamento che contraddistingue la nostra razza ad ogni livello, spero che il risultato finale vi piaccia. Se avede domande o commenti potete scrivere e cercherò di rispondervi.
P.S.
Se questo articolo ti è piaciuto lascia un commento e/o metti un ‘like’ sui social e condividilo affinché anche gli altri possano leggerlo, grazie.
Questo è il racconto fotografico del mio viaggio in Messico e Cuba con Marilena, mia moglie. Il post di oggi vi racconta Cuba, Trinidad.
Se sei un appassionato/a di viaggi e vuoi conoscere tutti i dettagli organizzativi e/o se ami la fotografia e vuoi avere informazioni tecniche vai al giorno 1 e 2 del viaggio, all’inizio del post c’è una premessa che fa per te.
Cuba, Trinidad
Dopo due notti nell’indimenticabile Avana (troppo pochi per gustare a pieno la mitica capitale cubana) ci rimettiamo in viaggio per vedere altre cittadine dell’isola. Prendiamo un pullman della locale compagnia Viazul e ci dirigiamo verso Cienfuegos dove passeremo una sola notte presso un’altra casa particular prenotata anche questa tramite Case Cuba (per maggiori dettagli organizzativi sull’intero viaggio vai al giorno 1 e 2 del viaggio).
Sfortunatamente già dal primo mattino quando ci mettiamo in viaggio, e durante tutta la nostra permanenza a Cienfuegos, la pioggia cade dal cielo a dirotto e in modo incessante. Non si tratta di un normale temporale tropicale che dura pochi minuti o mezz’ora al massimo, è proprio una violenta perturbazione che non dà un solo minuto di tregua. La pioggia è troppo forte per poter uscire anche se provvisti di ombrello.
Questa è la foto che scatto dal bus al mio arrivo nella cittadina e anche, sfortunatamente, l’unica che riesco a scattare nelle 24 ore a Cienfuegos.
Io e mia moglie rimaniamo confinati nella casa particular mentre le strade di Cienfuegos si trasformano in veri e propri fiumi in piena. Scopriamo che la signora che ci ospita fa un mojito pazzesco, e passiamo tutto il nostro tempo in terrazza ad ascoltare la pioggia sulla tettoia con il cocktail in mano. Di tanto in tanto chiamo la signora per ordinare un altro bicchiere, facendole i complimenti per come ha miscelato gli ingredienti. La signora puntualmente prende l’ordinazione con un sorriso tra il deliziato e il beffardo, ed ogni volta sento da lei la stessa cantilena: “te gustó el mojito, eh!?”. E così, tra un mojito e l’altro, cullati dal ritmo incessante della pioggia sulle nostre teste e dalla cantilena cubana della signora, passiamo la nostra giornata a Cienfuegos. Non vediamo nulla del posto ma, nonostante tutto, siamo contenti. Sarà il fatto di essere in vacanza o la miscela perfetta di rum, zucchero di canna, menta, lime e l’acqua di seltz, ma fatto sta che anche questa Cuba mi sembra piacevolissima.
Il giorno dopo ci rimettiamo in marcia per Trinidad. Anche oggi viaggiamo con bus locale e, anche oggi, purtroppo piove. Questa volta però voglio assolutamente vedere la città, per fortuna la pioggia è meno torrenziale, e pian piano sembra perdere vigore. Siamo nella casa particular di Trinidad e Marilena non ne vuole sapere di uscire con la pioggia, ma io non mi perdo d’animo: aspetto qualche ora, e quando non ne posso più di stare fermo e al chiuso con Trinidad là fuori, vado dalla signora e mi faccio prestare un ombrello (oggetto che mi porge con grande riverenza e anche un po’ di malcelata possessività). Esco fuori in infradito, tanto fa caldo e in certe stradine sembra di guadare dei ruscelletti estivi di montagna. Finalmente posso vedere cosa ho intorno e immortalarlo.
Un ragazzo con il suo risciò sconsolato aspetta anche lui che il tempo migliori.
Rientro, e con Marilena decidiamo di cenare a casa, visto che la pioggia continua imperterrita a bagnare Trinidad. La signora ci prepara una zuppa di lenticchie da applausi, mentre il telegiornale manda in onda le immagini della perturbazione che sta causando questo tempo da lupi. Capisco dai commenti in spagnolo che si tratta dell’uragano Hermine, al centro della perturbazione che si sta generando nel golfo del Messico il cui ciclone sembra indeciso se dirigersi verso Florida o Cuba. Come avevo immaginato non è un semplice temporale tropicale, è una vera e propria tempesta con tanto di uragano, e mi sento dentro ad uno di quei film catastrofici americani con l’adrenalina che scorre nel sangue per la paura di un destino su cui l’uomo non può nulla. Indipendentemente su dove si abbatterà la furia del ciclone, spero solo non crei troppi danni.
Le mie preghiere notturne vengono ascoltate e finalmente durante la notte la pioggia ha smesso di cadere. Hermine ha deciso di puntare verso Florida e lambisce soltanto Cuba, mi spiace per gli americani, ma di sicuro nella ricca penisola statunitense sono più attrezzati dei poveri cubani che hanno già i loro problemi senza bisogno anche di un ciclone. Io e Marilena usciamo senza dover richiedere in prestito il prezioso ombrello e esploriamo con agio il centro di Trinidad. Le strade sono ancora bagnate ma almeno le vie non sembrano fiumi come quelle di Cienfuegos e nemmeno ruscelli come ieri al nostro arrivo.
Sbircio attraverso una porta e mi rendo conto che si tratta di una scuola, chiedo gentilmente di entrare e di fare delle foto. Trovo le scuole luoghi interessantissimi per capire molto di un Paese e non mi faccio sfuggire l’occasione. Sui muri ci sono frasi tipiche da regime totalitario che sa bene quanto sia importante l’educazione anche per formare un popolo, per terra c’è acqua perché il temporale ha fatto piovere persino dentro, una maestra dipinge un cartellone che servirà per l’anno scolastico che sta per cominciare.
Due docenti mi chiedono un’offerta per comprare materiali scolastici, non riesco a dire di no. Nonostante tutto, anche se in un regime, in qualsiasi luogo l’educazione è sempre un valore fondamentale, per me la scuola è una delle istituzioni più importanti in assoluto. Do loro una banconota di €10 che per i cubani sono un mucchio di soldi: la paga mensile di un insegnante cubano è di circa €20, quindi quella banconota ha il valore equivalente di circa €700 per un insegnante italiano. Alla vista degli euro le due maestre si guardano immediatamente intorno per capire se qualcun altro sta assistendo alla scena, dopo un micro-secondo di incertezza per capire il da farsi si lanciano uno sguardo di intesa che non ha bisogno di telepatia per essere decifrato… so bene che si spartiranno quei soldi a metà e che probabilmente con i miei euro non compreranno molto per i loro studenti, ma un docente ben nutrito è sicuramente un docente migliore di uno affamato, e a me 10 euro non fanno alcuna differenza. Esco dalla scuola con uno strano stato d’animo che ancora adesso fatico ad interpretare.
Continuiamo a girare, noto un bar i cui colori riescono a brillare nonostante il cielo sia grigio, mi apposto e scatto più foto.
Dopo tanto camminare siamo affamati, e ci dirigiamo verso uno dei ristoranti indicati come tra i migliori della zona dalla guida Lonely Planet. Il locale è pieno di mosche. Osservo divertito Marilena che si guarda schifata in giro, la tentazione è di andare in un altro posto ma altri ristoranti nelle vicinanze non sembrano essercene, inoltre è anche tardi. La stanchezza di questi giorni di viaggio on the road ha sopraffatto mia moglie che non è abituata a questo modo di viaggiare, Marilena sembra ormai arresa e senza forze per protestare. Ci decidiamo a rimanere, spruzzo il repellente sul nostro tavolo ad intervalli frequenti e riusciamo a mangiare con meno mosche che nei restanti tavoli, mi chiedo come facciano gli altri clienti a mangiare tranquilli senza alcuno spray ad allontanare gli insetti e mi sforzo di non pensare alla situazione in cucina. Nonostante la luce sia pessima per fotografare, non resisto alla tentazione di immortalare il tavolo dietro a noi che, tra l’altro, non è uno di quelli peggiori, ma è il più vicino.
Usciamo dal mosca-ristorante chiedendoci se staremo male e riprendiamo il nostro vagabondare, ci infiliamo in vie un po’ più periferiche. Qui delle bambine, notando la mia macchinetta fotografica, cominciano a posare come grottesche controfigure di modelle, vogliono essere immortalate e me lo chiedono spudoratamente, le accontento e alla fine della sessione fotografica mi chiedono delle monete. Le accontento con pochi spiccioli, ci rimangono un po’ male ma so già che cestinerò quasi tutte le foto perché le loro pose sono troppo innaturali e inappropriate per delle bambine della loro età. Ne tengo solo una che ritengo l’unica accettabile.
Continuiamo a gironzolare con l’intenzione di riavvicinarci al centro.
Una bimba bellissima mi guarda da un portone su una sedia a dondolo di legno troppo grande per lei.
Dall’altra parte una giovane cubana ci lancia un bellissimo sorriso da dietro una pittoresca lignea ringhiera azzurra.
La sera andiamo a mangiare in un altro ristorante, fortunatamente in questo non ci sono mosche e l’igiene sembra adeguata, mangiamo un’ottima aragosta a testa con pochi euro che ci fa dimenticare l’esperienza del pranzo.
L’indomani salutiamo Trinidad e partiamo per Varadero, concluderemo la permanenza a Cuba con due notti in un resort di lusso sulla spiaggia. Marilena non sa del resort. Il progetto iniziale era infatti di stare anche a Varadero in casa particular (che avevo già prenotato tramite l’efficiente servizio Case Cuba), sono uno abituato a viaggiare in modalità low budget; cosa che tra l’altro mi piace molto perché mi permette di vivere la parte più vera dei luoghi che visito. All’Avana avevo visto però Marilena poco entusiasta all’idea di pernottare in pensione per tutto la permanenza a Cuba. Ho pensato allora che alla fine era pur sempre un viaggio di nozze e, approfittando di un momento durante il quale lei riposava e io ero uscito a fare un giro fotografico della capitale, senza dirle nulla, mi sono infilato in un’agenzia e, alla faccia della parsimonia, ho chiesto il resort più caro di Varadero. Adesso, solo l’idea della sua faccia quando glielo dirò mi riempie di felicità e mi fa ridere al tempo stesso. Intanto prendiamo un altro autobus scalcagnato per l’ultima tappa del nostro viaggio.
Alla stazione degli autobus un padre saluta i figli che partono; mi soffermo ad immaginare i possibili motivi che potrebbero spingere questi genitori a lasciare due bambini così piccoli con la sorella adolescente.
Durante il viaggio punto il mio obiettivo fuori dal finestrino per cogliere momenti di vita: giovani e meno giovani che viaggiano su carretti tirati da cavalli o su vecchi side-car, un uomo che ripara un’auto vecchia di 70 anni con la speranza di farla andare avanti per chissà quanti anni ancora, e due bimbe che giocano a nascondino mentre un uomo col cappello a tesa larga passa a cavallo come fossimo nel far west. Più che un viaggio lungo le strade della campagna cubana sembra un viaggio attraverso il tempo.
Dopo alcune ore di viaggio avviene quello che temevo sarebbe successo su un autobus tanto mal messo: un rumore sordo di esplosione, intuisco subito di cosa si tratta. E’ scoppiata una gomma.
Marilena in confusione mi chiede cosa succederà adesso, sorrido divertito e le spiego che faremo quello che facevano i nostri nonni: aspetteremo con pazienza. Per fortuna non abbiamo un aereo da prendere, mi rode un po’ però che questo contrattempo ci farà perdere delle ore che avremmo potuto passare in piscina o in spiaggia a Varadero. Scambio due chiacchiere con l’autista che mi spiega che tra un po’ dovremmo incrociare un altro bus Viazul, questo porterà la notizia della gomma esplosa alla stazione di autobus più vicina, partirà dunque un mezzo di soccorso per la sostituzione della gomma (i cellulari nel momento in cui scrivo non sono legali a Cuba, bisogna aspettare marzo 2008 per la legalizzazione dei telefonini). Il tutto ci costerà almeno due/tre ore di tempo. C’è solo da pazientare, stiamo sul bordo strada perché sul bus si muore di caldo, e nell’attesa fotografo vecchie Chevrolet che passano lungo la via.
Nel frattempo faccio anche un giro per guardare le altre ruote e mi rendo conto che sono tutte liscissime, e prego solo che, una volta sostituita la gomma e ripartiti, non ne scoppierà un’altra.
Finalmente arriva il rimorchio che alza il bus e permette la sostituzione della gomma. Fotografo la ruota e il suo pessimo stato.
Finalmente ripartiamo, e dopo alcune ore arriviamo a Varadero sani e salvi. Dalla stazione dei bus prendiamo un taxi collettivo e senza far capire nulla a Marilena do l’indirizzo del resort Paradisus Princesa Del Mar. Appena scendiamo lei alza lo sguardo, vede la struttura lussuosa e comincia a saltellare e mi abbraccia forte. Come è bello fare le sorprese!
Passiamo due giorni in piscina e in spiaggia godendoci il posto, nel frattempo l’uragano Hermine sta colpendo la Florida e arrivano violente e inquietanti folate di vento sulla costa di Varadero che scrollano forte le alte palme del resort, il cielo è stranissimo, nuvole grigie viaggiano ad inconsueta velocità sulla nostra testa e si danno il cambio con nuvole bianche che subito dopo sembrano volerci tranquillizzare. Cerchiamo di non pensarci e di goderci quei momenti di sole che il cielo ci regala, sono i nostri ultimi due giorni di viaggio di nozze e vogliamo goderceli fino alla fine, e così, a parte alcuni momenti di ansia per questo inedito clima, ci godiamo gli sgoccioli della vacanza nell’agio della lussuosa struttura.
Pubblichiamo su Facebook una foto scattata con il cellulare che fa molto viaggio di nozze.
Dopo due giorni di relax assoluto salutiamo anche Varadero e andiamo all’aeroporto dell’Avana per tornare in Italia. Siamo in fila con il tipico umore nostalgico di fine vacanza quando mi accorgo di una scena storica: il check-in del volo della compagnia di linea American Airlines per Miami. E’ stato inaugurato appena tre giorni fa: riprendono i voli diretti di linea tra Cuba e gli Stati Uniti dopo ben 55 anni. Era il 1961 l’ultimo volo di linea statunitense, e adesso ecco il check-in riaperto. Scatto una foto che ha un suo intrinseco valore storico.
Anche questo viaggio è finito, ma come ogni viaggio rimangono le emozioni e soprattutto le esperienze che ci hanno fatto crescere e cambiato. Torniamo un po’ diversi di quando siamo partiti, non so bene come, ma di sicuro migliori. E’ questo il bello del viaggiare, non tanto arrivare e vedere, ma cambiare ed arricchirsi di emozioni, riflessioni, riconsiderazioni ed esperienze. Spendere soldi in oggetti ci dà semplicemente cose tra le mani che col tempo si rompono e buttiamo, i viaggi ci danno vita intensa, che entra in noi, ci forgia e trasforma e sarà parte di noi per sempre.
Grazie a tutti voi di avermi letto e vi auguro buon viaggio. Buon viaggio per chi può spostarsi fisicamente con navi, aerei, treni, auto, moto, bici o persino a piedi, e per chi non può auguro buon viaggio con la mente, leggendo, o semplicemente fantasticando.
Un caro saluto da me, e da Marilena.
P.S.
Se questo articolo ti è piaciuto lascia un commento e/o metti un ‘like’ sui social e condividilo affinché anche gli altri possano leggerlo, grazie.
Commenti recenti