Viaggio in Thailandia – giorni 22 e 23
Al mattino prendo un sorng taa ou che collega la città nuova con la Sukhotai vecchia dove ci sono le rovine. Sul mezzo salgono subito dopo i due ragazzi australiani che ieri sera mi hanno saputo spiegare come raggiungere il mercato. Parliamo un po’ e mi accorgo con un certo stupore che lei ha tatuato sulla caviglia sinistra la parola ‘padrino’, a quel punto mi guardo bene dal dire loro che sono siciliano.
Durante la corsa montano su dei tailandesi e punto l’obiettivo su di loro.
La ragazza pensierosa quando scende prova a pagare la corsa ma l’anziano autista dà un colpo di clacson per salutarla e sorridente se ne va senza farsi pagare. Questa scena mi fa pensare un po’ a come eravamo in Italia tempo fa, molto più accomodanti, spensierati e genuini. Mi chiedo se sarebbe possibile tornare indietro, purtroppo mi rispondo che l’Italia rurale è forse persa per sempre.
Arrivato al parco archeologico noleggio una bici e firmo il quadernone con nome e nazionalità, butto l’occhio sugli altri firmatari e anche qui l’unico italiano sono io. Molti francesi, alcuni tedeschi, spagnoli, inglesi e un paio di giapponesi. Eppure una volta eravamo un popolo di navigatori. Cosa ci è successo, mi chiedo.
Mentre sto fotografando un tempio da lontano arriva un cinese che tutto trafelato mi chiede di fargli una foto. Mi domanda se sono da solo pure io e la mia risposta affermativa pare rincuorarlo molto. Si muove con una certa agitazione, pare che abbia la tipica fretta di chi deve prendere un treno che sta per partire, eppure non ha nessun orario preciso da rispettare. Mi spiega con maniacalità come scattargli la foto con l’iphone, lo rassicuro dicendogli che so usarlo ma lui continua a darmi indicazioni e mi raccomanda di non mettere il dito davanti l’obiettivo. Gli faccio vedere che ho anch’io lo stesso telefono ma neanche così pare rassicurato, continua a darmi spiegazioni. Allora decido che eseguirò il mio classico scherzetto che faccio a tutte le persone che sono troppo apprensive quando mi danno il loro smartphone per fargli una foto. Pigio sull’iconcina per scegliere la camera frontale, quella per le video chiamate, e mentre dengo il cellulare come se stessi fotografando lui mi faccio un autoscatto. Gli consegno il telefono dicendogli di controllare se va bene e sono curioso di vedere che faccia farà. Appena vede il mio ritratto invece del suo si dà un colpo alla fronte e mi dice che ho sbagliato, eppure mi aveva spiegato bene! Lo informo che è uno scherzo ma la cosa non lo fa per niente ridere. Mi ridà il cellulare e stavolta gli faccio la foto normalmente, mentre scatto lo sento sussurrare la parola ‘scherzo, scherzo’ e vedo che ride. Bene, almeno l’umorismo è arrivato anche se a scoppio ritardato.
Parliamo un po’, si chiama Py, ha 24 anni e si è da poco laureato. Ha lavorato in Nigeria ma adesso cerca lavoro in Cina perché la famiglia non lo vuole troppo lontano. Quando sento che ha lavorato in Africa gli faccio molte domande a riguardo. Infatti, non so se sapete, ma la Cina sta investendo tantissimi quattrini sul continente nero per assicurarsi materie prime e combustibile, da quello che ho letto sta comprando l’Africa pezzo per pezzo. Chiedo conferma se è vero che ci siano per i cinesi molte possibilità lavorative e tante aziende cinesi che stanno investendo nei territori africani e mi conferma tutto.
Ci scambiamo l’amicizia in facebook e ci salutiamo. Io mi rimetto a scattare.
Avvisto a distanza un monaco che parla al cellulare e la scena mi pare interessante e immortalo anche lui con il collega dietro che tiene in mano mezza nascosta una bottiglia di Coca Cola. Quando mi avvicino con la macchina il monaco nasconde il cellulare, ma è troppo tardi, l’ho già ripreso.
Anche qui il parco è immerso nella natura, è tenuto benissimo, e sebbene ci siano molti turisti il luogo è così grande che non si ha l’impressione di avere la calca intorno. E’ piacevole girare in bicicletta tra i templi anche se il caldo ad una certa ora diventa fastidioso.
Quando ne ho abbastanza mi fermo a mangiare una omelette in uno dei tanti tavoli davanti al tempio principale, è buona anche se troppo oliosa. Poi consegno la bici e salgo sullo stesso sorng taa ou dell’andata. Qui conosco Maki. Una giapponese davvero deliziosa. Ha 19 anni e gira da sola per l’Asia. Ha già visitato il Laos, domani andrà nel Myamar e poi chiuderà il suo viaggio di due mesi con la Cina. Mi conquista completamente quando mi fa vedere un quadernone sul quale fa scrivere ad ognuna delle persone che va incontrando il proprio desiderio. Sognatore per come sono non posso non fotografare questa splendida raccolta di aspirazioni. Mi chiede di scrivere il mio di sogno ma sul mezzo che balla è davvero difficile, concordiamo di andarci a bere una cosa insieme più tardi. Mi ha anche dato 29 anni quindi non posso non pagarle da bere!
Arrivati a destinazione ci diamo appuntamento alle 6 alla sua guest house che è vicino alla mia.
Mi metto in camera e lavoro sul blog, però comincio a non sentirmi bene. Ho la frittata che mi sale su per lo stomaco. Sento l’olio con un senso di nausea. Ecco, ci siamo, m’era andata fino adesso bene, penso, mi sono beccato qualcosa. Mi metto a dormire un’oretta sperando che questo possa aiutarmi. Quando mi risveglio sto benissimo; il mio fantastico sistema immunitario ancora una volta non mi delude. Pericolo scampato. Mi rimetto a lavoro ma si fa subito l’ora dell’appuntamento ed esco di fretta per non arrivare in ritardo.
Maki è giù che mi aspetta e andiamo allo stesso bar dove sono stato ieri e dove mi ero annoiato, è l’unico che conosciamo entrambi. Parliamo per 5 ore filate sebbene ci siano venti anni di differenza tra noi. E’ una ragazza con una maturità straordinaria e molto curiosa del mondo, parliamo dell’Asia, della Thailandia, dei viaggi, dell’insegnamento (è quello che vuole fare da grande nei paesi del terzo mondo), di buddismo e cristianesimo (lei è buddista), di destino e filosofia. Mi insegna la giusta pronuncia di sushi e sashimi (sappiate che la ‘sh’ non si pronuncia ‘sci’ ma come una normale ‘s’), mi spiega perché gli asiatici portano la mascherina (credevo che fosse per l’inquinamento e invece è per prevenire l’influenza) e mi informa che lo scherzo del cellulare che ho fatto al cinese è molto popolare in Giappone (cavolo! pensavo di averlo inventato io… evidentemente ho un senso dell’umorismo, oltre che inglese come a volte mi dicono, anche un po’ giapponese).
Le dico con entusiasmo che ho una grande passione per il sushi ma mi delude un po’ quando mi spiega che a lei il sushi non piace, è una delle poche giapponesi a non mangiare pesce crudo, ama invece la cucina italiana. Penso che nell’ultimo periodo ho due passioni: il tango e il sushi e in questo viaggio ho incontrato un’argentina che non balla tango e una giapponese che non mangia sushi. Che strano!
Maki alcune volte mi sorprende perché riunisce in sé una forte personalità che la fa viaggiare da sola nel mondo ad appena 19 anni anche in paesi sottosviluppati e poi, dalle sue domande sui posti della Thailandia che ho già visto, capisco che ha anche una certa paura. Mi fa tenerezza.
Ad una certa ora mi spiace far perdere tanto tempo ad una ragazzina così giovane con un ‘vecchietto’ come me e l’accompagno alla guest house. E’ stato bello conoscere Maki, spero solo che nel suo viaggio non incontri qualcuno che voglia approfittare della sua grande disponibilità.
In stanza mi rimetto un po’ a lavoro e poi a dormire. Domani si riparte nuovamente e non ho ancora deciso dove andrò.
Giorno 23
Mi sveglio col pensiero di decidere dove andare. Le possibilità sono due, virare ad ovest per Mae Sot sul confine con il Myanmar come mi ha suggerito Brad il giornalista incontrato a Khanom per un itinerario poco turistico fatto principalmente di natura, avventura ed imprevisti, oppure andare ancora più a nord per vedere la famosissima e anche molto turistica Chiang Mai per vedere i templi e la natura intorno. Ormai mi rimangono pochi giorni e purtroppo non c’è il tempo per fare entrambe le cose. Non so proprio decidere, l’avventura mi tenta molto anche se sono abbastanza stanco e vorrei un po’ di relax, dall’altra parte venire in Tailandia e non vedere Chiang Mai è quasi un sacrilegio per molti. Non riuscendo a prendere una decisione opto per la monetina: Chiang mai ‘testa’, Mae Sot ‘croce’. Sceglierà il destino per me. Lancio ed è testa. Ok, Chiang Mai. Uso lo stesso sistema per scegliere tra due guest house apparentemente molto simili: anche qui testa. Mi viene il dubbio di aver beccato una moneta farlocca e faccio dei lanci ulteriori per metterla alla prova ed esce croce. Andrò in una struttura gestita da una donna inglese definita dalla mia guida ‘una persona molto originale’.
Raccolgo tutto e vado. Prendo un tuk tuk, scatto una foto durante il tragitto e arrivo alla stazione degli autobus. Lì pranzo mentre un bambino mi spia da dietro la sedie e lo riprendo.
Arrivato a Chiang Mai con un viaggio di 6 ore che mi pare interminabile salgo su un Sorng taa ou affollatissimo. Una signora si copre la bocca con un panno e adesso so, grazie a Maki, che non è per l’inquinamento.
Faccio qualche scatto durante la corsa e arrivo alla guest house. Conosco la proprietaria, è bionda, magrissima e sembra stralunata. Mentre saliamo le scale che portano alla mia camera la mia attenzione viene attirata dai suoi piedi, sono lordissimi. Sembra che non li lavi da mesi, eppure cammina con gli infradito. Spesso se li toglierà come si usa qui in Thailandia quando si entra nelle case per non sporcare il pavimento. Ma ritengo che le suole delle mie scarpe siano meno luride dei suoi piedi. Non è sicuramente sozzura di una giornata.
La stanza è spartanissima, con una ventola al tetto e poco altro. Ha però l’acqua calda e le zanzariere alle finestre. Costa €7,50 a notte e a questo prezzo mi pare quasi una reggia.
Vado subito a mangiare qualcosa perché ho molta fame. Scelgo uno dei ristoranti segnalati più vicini e raggiungibili a piedi. La guida ne parla molto bene per la qualità del cibo ma il posto a vederlo è abbastanza squallido.
Il proprietario appena mi seggo si pianta subito a fianco con la penna pronto già a scrivere. Non ho avuto nemmeno il tempo di prendere in mano il menu. La sua presenza mi mette ansia. Sto per chiedergli se mi dà due minuti ma sembra cattivissimo. Per fortuna lo chiamano di là e mi lascia scegliere.
Ordino gli involtini primavera tailandesi perché sono loro che mi hanno fatto innamorare della cucina thai quando li ho assaggiati per la prima volta a Milano. Mi ricordo che quando li ho provati è stata una esplosione di gusto libidinosa in bocca, le mie papille gustative si sono improvvisamente messe a ballare come in trance e ho avuto quella sensazione che è ben rappresentata dalla pubblicità del collutorio Glisterin… non so se ve la ricordate la réclame, la ragazza che appena mette il collutorio in bocca ha una comicissima esplosione che le gonfia esageratamente e di colpo le guance, ecco, quella! Così è stato per me con gli involtini primavera in questo ristorante a Milano. Però li ho provati giorni fa qui in Thailandia e non li ho per niente riconosciuti, nulla di tutte quelle spezie e aromi che ricordavo, mi sono sembrati molto simili a quelli cinesi, nulla di speciale. Ci riprovo in questo ristorante che pare essere rinomato, ma niente da fare. Sono abbastanza insapore anche questi. Morale: se volete degli involtini tailandesi pazzeschi, andate a mangiarli a Milano, non in Thailandia!
Ordino anche del pesce, buono, ma niente di ché, e del pollo fritto (è da tanto che ne ho voglia), questo sì, buonissimo.
Al tavolo di fianco si seggono due ragazze bionde e stanno subendo lo stesso terrorismo psicologico che ho subito io all’inizio con il proprietario piantato a lato. In inglese sussurro alle ragazze che la sua presenza è angosciante e ridendo condividono, il signore non capisce e non fa una piega, le giovani ordinano la prima pietanza del menu per toglierselo di torno. Ci mettiamo un po’ a chiacchierare anche se io sono molto impegnato a tranquillizzare tutti tramite iphone e messaggi su fb che sto bene e che la puntata a breve sarà pubblicata. E’ infatti quasi pronta, aspetta solo di essere messa on-line con le foto a corredo ma la fame mi ha spinto a posticipare l’operazione.
Quando le ragazze finiscono di mangiare mi dicono che vanno a vedere il night bazaar e mi chiedono se voglio unirmi. Mi pare brutto dire di no (in realtà vorrei tornare in camera) e mi unisco a loro.
Sono anche loro viaggiatrici solitarie e si sono conosciute in viaggio, la più magra è neozelandese e ha 24 anni, l’altra è olandese ed è ventunenne. Entrambe stanno facendo un giro dell’Asia di diversi mesi e ancora una volta mi accorgo come i nostri giovani italiani al confronto sono dei mammoni che non escono mai fuori dai confini nazionali se non per vacanzucce all inclusive. Gli altri girano il mondo senza meta e sperimentano davvero la vita maturando tante esperienze che li rendono uomini e donne migliori, i nostri giovani invece ripetono ipnoticamente ‘che palle!’ seduti in macchina mentre vanno a bere qualcosa al solito locale.
Le seguo, non ho voglia di scegliere il percorso e fotografo quello che vedo. Ci troviamo in un mercato notturno grandissimo che si dirama per tante vie e che però è meno suggestivo di quelli che ho visto fino adesso, infatti c’è poco cibo ma più merchandising per turisti. Uno di quei posti dove appena arrivi vedi qualcosa di curioso (come in questo caso le saponettine scolpite e colorate a mano con grande maestria) e poi ti accorgi che lo stesso prodotto è in tutte le bancarelle.
La neozelandese ad un certo momento ha bisogno di dolce, forse è una carenza d’affetto, la sfotto un po’ ma fatto sta che punta una crepe al cioccolato e banana e io riprendo la preparazione e le faccio un primo piano mentre la mangia con gusto.
Giriamo ancora per bancarelle e mi faccio pure una partita a freccette, in verità due ma non riesco a vincere un bel niente e non faccio fare la bella figura all’Italia che avrei voluto; la mira non è male ma beccare sette palloncini con sette tiri senza poter fare nemmeno un errore mi pare davvero cosa improbabile.
Le ragazze hanno voglia di una birra e di capire dove poter andare stasera a fare un po’ di baldoria. Si dirigono quindi verso un irish pub perché, secondo la loro esperienza, dove c’è un pub ci sono le informazioni per trovare il party. Lì incontro gli australiani di ieri (la donna e il ‘padrino’ tatuato sulla caviglia) e ci salutiamo con un certo calore.
Ci sediamo e le ragazze discutono sul da farsi, hanno molta voglia di far festa e me la stanno un po’ trasmettendo. Cercano informazioni su internet e alla fine decidono di andare al THC, un locale abbastanza vicino.
Io devo ancora pubblicare le ultime due giornate e si sta facendo tardi. Mi sgancio spiegandogli il motivo e mi dicono che nel caso le posso raggiungere fino ad una certa ora al THC, mi spiegano come raggiungerlo e le saluto.
Sulla via del ritorno faccio qualche altro scatto ma poi mi dico di smettere che devo tornare in camera e mettere online queste ultime benedette giornate.
Il computer è sempre più lento e mi fa perdere un sacco di tempo. Mi è venuta voglia di raggiungere le ragazze e fare anch’io un po’ di festa, durante questo viaggio in Thailandia non ho quasi per niente fatto vita notturna. Si fa quasi l’una del mattino ma mi dico di provare a fare un tentativo anche se non credo che le tipe siano dopo tre ore ancora nel locale, mi avevano detto che a seguire sarebbero andate in una discoteca di cui non ricordo il nome.
Esco comunque, lascio la macchina fotografica in camera (ho intenzione di divertirmi e non voglio rischiare di farmela fregare) e arrivo al THC che è un bar di musica reggae; si è però già abbastanza svuotato. Faccio una capatina di ricognizione ma le ragazze non ci sono. Giro sui tacchi per andare comunque al bar a prendermi una birra piccola da bere in un cantuccio quando mi sento chiamare: hei, hei! Mi giro ma è una voce maschile a chiamarmi. Un ragazzo un po’ panciutello mi fa segno, mi dice di avvicinarmi. Gli vado incontro e spiega che mi ha visto che ero da solo, che mi sono guardato in giro e che me ne stavo andando. E’ con la fidanzata e mi dice con una giovialità trasbordante: “noi ti accogliamo amico mio, e mi abbraccia come fossimo amici dalle elementari”. Sono molto divertito e la cosa mi piace molto. Chiedo cosa bevono ma hanno già i bicchieri pieni. Vado a prendermi una birra per me e una seconda da condividere e mi seggo con loro. Lui si chiama Enrique ed è spagnolo di Madrid, lei Isabella ed è brasiliana. Stanno insieme da 5 anni e sono simpaticissimi. Enrique è il classico festaiolo spagnolo che beve tanto e attacca bottone con tutti, lei è piccolina e un po’ pienotta con uno splendido sorriso, sono una bella coppia e ridiamo tanto insieme, mi raccontano di loro e del viaggio che stanno facendo. Il locale sta per chiudere ma non vogliamo andare a dormire, decidiamo di andare a fare festa. Enrique chiede dove c’è baldoria stasera e senza aver capito bene dov’è ci avviamo.
Ci troviamo a ballare e bere come dei ventenni in ben tre locali diversi, incontriamo gente di tutte le nazionalità con cui balliamo e scherziamo e ci divertiamo tantissimo tra abbracci, brindisi sgomitate e risate. Unica cosa negativa è che nel delirio della mia notte da leone perdo per la seconda volta il cellulare. Stavolta non ho proprio speranza di ritrovarlo. Niente da fare, era destino che dovessi perderlo.
Torno in camera che sono le sei del mattino e sono pure un bel po’ rintronato. Domani riposo. Cavolo… il cellulare! e meno male che non mi sono portato la macchina fotografica!
Masaggi niente? Mah!
AHHHHHHH il celllulare….mannaggia mannaggia…..se almeno lo avevi lasciato qui …lo avrei usato io……Un abbraccio
ah ah ah!
Aspetta, aspetta…