Viaggio in Thailandia – giorno 14
Ci alziamo con una certa calma, ci prepariamo, io cerco di infilare anche le cose che avevo lasciato ad Umberto senza far scoppiare il mio zaino da spalla e andiamo al Ciao Bella che è a 20 metri. Là però dobbiamo aspettare che Namwhan torni dal mercato con lo scooter affinché Umberto abbia il mezzo per accompagnarci a prendere il bus per Suratthani. Io ne approfitto per lavorare un po’, ieri non sono riuscito a pubblicare la giornata 12 e voglio portarmi avanti lavorando sul giorno 13. L’intenzione è di pubblicarli entrambi oggi appena avrò una connessione in modo da recuperare il ritardo.
Arriva Namwhan e Umberto ci porta con due viaggi a prendere il bus. Lì vediamo che sul tabellone dà due ore di percorso. Ce ne aspettavamo solo una e la cosa ci scoccia un po’ perché ci pare di essere sempre in viaggio negli ultimi giorni. Prendiamo un pulmino che ci porta fino a Suratthani. Arriviamo dopo appena un’ora e questo ci spiazza molto. All’inizio penso che sia semplicemente una fermata per una sosta e invece è proprio il momento di scendere. Un po’ di corsa ci scaraventiamo fuori dal pullman. Siamo alla stazione dei bus di Suratthani e come al solito, guardando il tabellone con gli orari, non si capisce nulla. Tutto è scritto in alfabeto thai e l‘unica cosa intellegibile sono i numeri arabi che da soli però non hanno comunque alcun senso per me. Se esistesse l’app che ho ideato (e di cui vi ho parlato nella passata puntata) sarebbe tutta un’altra storia! Compriamo i biglietti rivolgendoci ad una persona al banco che parla due parole di inglese per Khao Sok dove c’è il parco nazionale. Il pullman parte tra una ventina di minuti e decidiamo di mangiare visto che si è fatto quasi mezzogiorno e non abbiamo fatto colazione. Alla stazione, come un po’ ovunque in Thailandia, ci sono delle bancarelle che vendono cibo con i loro grandi pentoloni nei quali cucinano quintali di riso e tavoli con tovaglie plastificate su cui si può mangiare spendendo davvero poco. Non hanno però mai i frigoriferi, per cui ti servono bibite calde in bicchieri strapieni di ghiaccio che tengono in contenitori termici. Mi attrae un bancone strapieno di cibo e ci sediamo ai rispettivi tavoli. Io prendo del riso con del pollo in una salsina che ha tutta l’aria di essere al curry e per Daniela chiedo la cosa meno piccante di tutte, la signora ci indica dei noodle con delle verdure e cominciamo a mangiare. Mangiamo il nostro pasto bevendo coca-cola calda (ho chiesto di non darmi ghiaccio perché non so con che acqua la fanno) e noto una mamma e un ragazzino che mangiano con le bacchette. Voglio fotografarli perché è la prima volta che vedo dei tailandesi non usare le forchette ma, quando chiedo il permesso per scattare, il ragazzino mi sorprende dicendo di no. E’ la prima volta che un tailandese si rifiuta di farsi riprendere, saluto comunque sorridente e mi ritiro in buon ordine. Peccato, aveva una bella luce dietro e sono sicuro sarebbe stata una fotografia d’effetto. Torno a mangiare il mio riso al curry che si dimostra piccante in maniera esplosiva. E’ così forte che comincia a colarmi il naso. Cerco di darmi un contegno visto che ho sempre detto a Daniela che mi piace il piccante ma è davvero forte. Continuo a mangiare ma ho un incendio in corso nella pancia, sto cominciando anche a lacrimare. Continuo a trattenermi ma Daniela mi chiede cosa ho, le confesso che è un po’ piccantino ma la verità è che mi brucia tutto, ormai voglio solo piangere. Il problema è che però al tempo stesso mi sembra buonissimo e continuo a mangiarlo buttando giù una cocacola dietro l’altra. Brucia, brucia, brucia! Ormai mi pare che mi sia scoppiata la dinamite nella pancia. Bene, se ho ingerito qualche germe in questi giorni di esso non esiste assolutamente più niente. Ho la pancia sicuramente completamente disinfettata!
Il pullman per Khao Sok è pronto a partire e saliamo su. Anche questo è arredato con tendine (stavolta rosa) e applique al soffitto. Durante il viaggio salgono dei venditori di cibo ambulante e sebbene le coscette di pollo fritto in un altro momento mi avrebbero fatto gola ho il fuoco in pancia e passo. Ad un certo momento mi controllo le tasche e non sento il cellulare. Controllo meglio convinto che non sto guardando bene ma del cellulare non c’è traccia. Non è la prima volta durante questo viaggio che ho l’impressione di perdere qualcosa che poi invece trovo, quindi insisto a cercare ma niente da fare. Il mio iPhone è sparito. Faccio mente locale e mi ricordo di averlo tirato fuori l’ultima volta sul pulmino da Khanom a Suratthani. L’ho lasciato lì. Bravo, mi dico, ti sei dimenticato di fare quello che ogni volta ripetevi ai tuoi ragazzi quando li accompagnavo in vacanza in Gran Bretagna! Dicevo sempre loro di non abbandonare un mezzo senza prima guardare il posto per controllare che non lasciassero niente, mi arrabbiavo sempre ed ero duro con loro quando non lo facevano e io adesso ho fatto esattamente la stessa cosa. Complimenti! In effetti mi ricordo che siamo arrivati un’ora prima di quello che era previsto e questo mi aveva spiazzato. Pensavo fosse una sosta e invece era la nostra destinazione. La sorpresa e la fretta di scendere subito mi hanno mandato in tilt, ed ecco che ho perso il mio smartphone. Mi incavolo ma non troppo, Daniela è un po’ stupita di non vedere una reazione melodrammatica per come noi italiani siamo famosi nel mondo (ma ormai si starà abituando a vedere che di tipicamente italiano non ho molto). Non posso farci niente e me ne faccio una ragione. Non mi dispiace tanto per l’oggetto in sé stesso, è un iPhone 4, quindi no è certo l’ultimo e costosissimo modello e comincia a funzionare anche un po’ male, avevo preventivato di cambiarlo presto, mi dispiace per l’utilità dell’oggetto stesso. Soprattutto in viaggio mi è essenziale, ho su una sim tailandese con carica per le priossime due settimane che mi permette di chiamare chiunque e quindi utilissimo anche in caso di emergenze, ho la connessione ad internet e già questo dice tutto, inoltre mi fa da modem per il computer e ha su il navigatore che è fondamentale per capire dove sono. Poco male, mi dico, a Bangkok mi comprerò uno smartphone più economico in modo da avere questi strumenti tanto essenziali e poi in Italia si vedrà. Per fortuna ho il backup di tutti i dati sul mio mac a casa, però, pensandoci meglio, alcune cose erano solo sull’iPhone, poi me lo sarei tenuto come ipod per ascoltare la musica a casa, c’ero pure affezionato… l’ho perso per una distrazione di un attimo! sì, mi rode… quasi quasi comincio a fare una sceneggiata napoletana per scaricare la rabbia che sta cominciando a montare a scoppio ritardato.
Arriviamo dopo due ore e mezza a Khao Sok. Ad aspettarci ci sono dei tassisti che tengono in mano dei cartelli con diverse destinazione e che chiedono dove abbiamo prenotato per portarci nel rispettivo hotel. Noi, come sempre, non abbiamo nessuna prenotazione, ma vogliamo andare al Art’s Riverview Lodge, un sistemazione di cui abbiamo letto sulla Lonely Planet. Pare un posto suggestivo, si tratta di bungalow sul fiume e completamente immersi nella natura. Il tassista per quella destinazione ci chiede molto più di quanto ci saremmo mai aspettati e ci spiega il perché: si trova proprio nella foresta e sebbene non sia lontanissimo bisogna fare una strada in terra battuta. Perfetto, è la sistemazione per noi. E se non c’è posto? Da lì ci porta per la stessa cifra indietro nella via principale dove ci sono altre sistemazioni. Chiede duecento. Io rilancio a cento, ci mettiamo d’accordo a centocinquanta.
Eccoci! vado a vedere se c’è posto ed è rimasto l’ultimo bungalow. Chiedo se c’è il wifi e mi dicono no, che no funziona per adesso ma che non funziona in tutto il paese, forse più tardi arriverà. Mi sembra una fesseria tanto per non perdere il cliente ma abbiamo letto ottime cose sulla guida e poi il prezzo è meno di quanto ci immaginavamo. Ok, prendiamo la stanza. Ci accompagnano al bungalow. E’ una struttura in legno immersa completamente nella natura, è sopraelevata grazie a delle colonne ed è sulla riva di un fiumiciattolo. Quando entriamo rimaniamo un po’ delusi perché non c’è il frigo per come c’era scritto e non c’è l’acqua calda, e nemmeno i vetri alle finestre… mi pare un film già visto. Però è carino e il posto è davvero sensazionale. E’ una capanna proprio sul fiume completamente immersa nella natura e circondata da piante di caucciù e bambù. Il ragazzo ci raccomanda di chiudere tutte le imposte quando usciamo perché altrimenti entrano le scimmie e così dicendo si gira e se ne va. Le scimmie? Che entrano? Traduco a Daniela quello che mi ha detto non troppo convinto di aver capito bene. Mi chiedo se stesse scherzando. Ci sistemiamo e, anche se mi viene la tentazione per un attimo, non tiro fuori i miei spray. Ci penso un po’ su e mi rendo conto che non ho voglia di creare il mio scudo spaziale anti esseri striscianti. Non so perché ma il fatto che sia segnalato sulla guida mi dà una certa tranquillità, inoltre le zanzariere non sono bucate come nella prima capanna e questo dovrebbe escludere l’intrusione di insetti similari. Mi metto a fare un paio di foto al Bungalow mentre Daniela si rilassa sul balconcino, quando improvvisamente comincio a sentire un rumore come di passi sulle foglie, di tanti passi, e dei richiami. Mi affaccio dalla finestra e, non ci posso credere, una ventina di scimmie stanno venendo in gruppo verso il bungalow. Oddio! E ora che succede? Afferro la macchina poggiata sul tavolo e comincio a fotografare. Esco fuori e vedo che stanno diventando molte di più e puntano tutte verso di noi. Nel bungalow a fianco un paio di ragazze stanno vivendo la nostra stessa situazione e lanciano gridolini di paura. Mi fiondo a chiudere tutte le imposte, non vorrei trovarmele in camera e non sapere come cacciarle vie. Chiudo tutto e ci mettiamo ad osservarle dal balconcino. Si arrampicano con un’agilità impressionante sugli alberi intorno al bungalow e mi sento un po’ braccato. Ormai sono tutte intorno, curiose ci guardano e sembra che vogliano venirci addosso, molte altre invece sono sotto il bungalow tra le colonne che lo reggono. Una scimmia si è arrampicata ad un ramo ed è arrivata a meno di mezzo metro dal balconcino. Scendo cautamente dalle scale per avvicinarmi con la mia macchina fotografica e riprenderli da vicino. Non so come potrebbero reagire, spero non si innervosiscano e mi muovo lentissimamente. Sono a terra e ce le ho tutte in torno. All’inizio uso molto quel po’ di zoom che ho a disposizione, ma poi divento sempre più ardito e mi avvicino di molto fisicamente. Noto una scimmia che ha qualcosa di strano alla pancia. Guardo meglio e vedo che ha delle manine che le stringono il ventre, mi abbasso e scorgo una scimmietta bebè sotto la pancia che aggrappata al pelo della mamma si fa trasportare mentre questa cammina a quattro zampe. Subito dopo la madre si ferma a farsi spulciare da un’altra scimmia e mi chiedo se sia il padre.
Dopo questa scena andiamo alla reception a fare il check-in per due notti e scriviamo nomi e numeri di passaporto (in Thailandia posto che vai procedure che trovi) e anche qui rimango a guardare la bellezza del luogo. La veranda su cui si fa colazione è sul fiume e giù degli ospiti dell’albergo ne approfittano per farsi il bagno. Chiediamo un po’ di informazioni per le escursioni e optiamo per quella di una intera giornata sul lago. C’è la possibilità pagando quasi il doppio di dormire anche su delle palafitte sul lago. L’idea per un attimo ci attira, ma cambiare ogni notte letto un po’ meno. Di comune accordo scegliamo l’escursione con rientro nel tardo pomeriggio.
Io ho assolutamente bisogno del wireless per lavorare al mio blog e ci dirigiamo verso la strada principale che è a 15 minuti di cammino per infilarci in uno dei ristoranti o bar che sorgono al lato della via. Lungo la passeggiata guardiamo gli scorci di paesaggio che raccontano bene come la natura qui è la vera protagonista. Entriamo nel ristorante Thai Erb che ha un bel cartello fuori con scritto free wifi… ormai il collegamento ad internet per me è diventato come una droga senza la quale non posso stare troppo a lungo. Bisogna togliersi le scarpe per andare sul piano sopraelevato ma noi ci sistemiamo nella veranda che corre intorno. Le scarpe dei turisti sono là abbandonate alla base dei gradini in attesa che i proprietari finiscano di bere e mangiare per venirsele a recuperare. Ci accomodiamo e ordiniamo un paio di birre che ci beviamo mentre io lavoro al blog e Daniela legge il suo libro. Mando anche un messaggio tramite Facebook a Umberto dicendogli del cellulare smarrito. Gli chiedo la cortesia di provare ad andare all’agenzia degli autobus a vedere se lo hanno trovato. Sono sicuro che ormai sia sparito e lo abbiano già sbloccato e formattato e chissà in che mani sarà, ma se per Umberto non è un problema vale la pena fare un tentativo. Rimetto in funzione un cellulare vecchio che mi sono portato come scorta (sì sono un ragazzo previdente) e gli inserisco la sim italiana. Avviso a casa che ho perso il cellulare e che comunque in caso di emergenze mi possono chiamare al numero italiano. Visto che la connessione ci pare buona rimaniamo qui anche per cenare e mangiamo anche molto bene sebbene il servizio sia un po’ lento. Il locale si è riempito e a servire è solo una magrolina ragazza dai modi molto gentili. Vado in bagno e c’è scritto di entrare scalzi, a tal fine c’è un paio di ciabatte grandi che possono ospitare i piedi di tutte le taglie. Rimango un po’ interdetto a guardare quei sandali chiusi di gomma verde e penso alle migliaia di piedi che li hanno calzati. Non se ne parla di entrare in bagno scalzo e nemmeno di mettermi quei sandali che a prima vista sembrano pure sporchi. Faccio l’italiano: nel caso, mi dico, non ho visto il cartello, ed entro con i miei di sandali ai piedi.
Ad una certa ora ci spostiamo nel bar di fronte, il Rasta Bar, dove c’è ottima musica reggae. Sebbene mi piaccia la musica di Bob Marley e compagni normalmente non riesco ad ascoltarla per un’intera serata, ma qui la selezione pare davvero buona. Vedo pure che c’è una presa di corrente ad una tavolo libero e mi fiondo ad occuparlo. Il portatile mi si è scaricato da un pezzo e qui posso continuare a lavorare. Ho pubblicato il giorno 12; voglio riuscire a pubblicare anche il giorno 13 stasera, in modo da non rimanere indietro. La cameriera mi dice che non hanno connessione internet e mentre Daniela alla notizia mi guarda dispiaciuta io non mi perdo d’animo e controllo il segnale e vedo, come immaginavo, che qui si arriva a prendere il wifi del Thai Erb dove siamo stati fino ad un minuto prima. Perfetto, nessun problema. Io lavoro al computer e nel frattempo c’è uno spettacolo di un tizio molto brutto che fa dei giochini di abilità, di tanto in tanto mi soffermo a guardarlo e sono dei giochi davvero penosi, spesso sbaglia e quando ci riesce sono delle acrobazie che anche mia nipote Lisa che ha 6 anni sa fare. Ogni volta torno ad abbassare la testa contento di avere di meglio da fare. Quando finisco guardo l’orologio e vedo che sono le 11.30, non credo ai miei occhi, ho pubblicato due puntate (gran parte scritte in viaggio) e ho ancora un pezzo di serata da godermi! Ci tratteniamo un’altra oretta chiacchierando del più e del meno e festeggiando con diversi brindisi la mia serata libera. Quando il locale comincia a svuotarsi facciamo ritorno anche perché domattina la sveglia è alle 7 e un quarto.
La strada è buia e la volta celeste che abbiamo sulla testa è di un nero profondo che luccica di una miriade di stelle. La strada si va addentrando sempre più nella foresta e cerchiamo di orientarci per ritrovare la via di casa. Non è semplice perché col buio tutto sembra diverso. Abbiamo una torcia piccola che Daniela ha portato con se ma fa una luce molto fioca e non ci permette di distinguere quasi niente. Riconosciamo il Nirvana Bar, un bar che ci ricordiamo di aver visto all’andata, e questo ci conforta. Sebbene sia notte piena i suoni e i rumori della foresta ci fanno capire che la natura non dorme ed è ancora molto attiva anche se invisibile tutta attorno a noi. Ogni tanto qualche pipistrello fa delle evoluzioni sopra le nostre teste. Ad un bivio mi fermo un secondo a guardare e Daniela mi dice di andare a sinistra che si ricorda benissimo quel cartello bianco. Temporeggio un po’ e la sento sbuffare e ripetere che è da quella parte. Ne è sicura e devo ascoltarla. Mi ha già detto giorni fa che non ha un buon senso dell’orientamento ma vedo che insiste con forza e sembra anche un po’ scocciata del mio tentennare. Sebbene io voglia guardare meglio perché mi ricordo che il nostro hotel è dall’altra parte decido di acconsentire alla sua insistenza. Giriamo a sinistra. La strada comincia a farsi sempre più stretta e meno familiare. Il buio è ormai assoluto e si vedono soltanto occhi fluorescenti nella notte che riflettono la fioca luce della nostra lanterna. Ci sono occhi dappertutto, davanti a noi, dietro e intorno, ci guardano dai rami degli alberi, e sono così tanti che immagino siano scimmie che ci osservano. La situazione comincia a farsi inquietante. Ormai non riconosciamo più nulla da un pezzo e Daniela comincia ad ammettere che ci siamo persi. Un grosso cane nero, però anche molto magro, si avvicina a noi e si mette a seguirci senza aggressività. Pare che voglia farci compagnia e da quel momento ci rimane in tondo come un terzo amico. Daniela è spaventata dal cane, un paio di settimane fa è stata morsa a Chiang Mai e la sua presenza la inquieta. Io invece mi sento confortato, so che fino a quando il cane ci sta intorno possiamo star tranquilli che non c’è nessun vero pericolo. La mia tesi è confermata quando un altro cane randagio molto aggressivo ci viene incontro. I due cominciano ad abbaiarsi sonoramente l’uno contro l’altro e pare che il nostro voglia davvero difenderci. Sembra che stiano discutendo in maniera accalorata e che alla fine il nostro convinca l’altro ad allontanarsi e a farci passare. Ad un certo punto Daniela è totalmente convinta di aver sbagliato strada e quindi, sebbene abbiamo camminato parecchio, giriamo sui nostri passi con l’intenzione di tornare fino al Nirvana Bar. Quello è l’ultimo luogo che abbiamo riconosciuto e che sta vicino al famoso bivio. L’idea è di tornare fino a là per vedere se la biforcazione è stato lì punto dove abbiamo sbagliato. Daniela adesso teme che possiamo rimanere tutta la notte a vagare e i suoni e i rumori e anche il cane le fanno temere per il peggio. Io invece sono abbastanza tranquillo, il cane mi fa da sentinella e non si stanca di seguirci girandoci in tondo come un satellite; sono convinto che se arriviamo al bar, da lì, senza più ascoltarla, saprò ritrovare la via. Arriviamo al bivio e con il poco di luce della torcia mi metto a cercare qualche segnale che possa aiutarmi a ricordare. Il fascio di luce va a sinistra e a destra e mi fa vedere la realtà un pezzettino alla volta, il disco di luce si pone ad un certo punto su un segnale in legno che dice: Art’s Riverview Lodge e una freccia con scritto 100 m. E’ il nostro, c’era tanto di cartello che diceva al bivio a destra! Guardo malissimo Daniela che risponde con uno sguardo di scusa tipico dei cani quando si rendono conto di aver combinato un guaio. Senza infierire faccio strada seguendo l’indicazione. Arriviamo alla reception che siamo distrutti, non so più quanto abbiamo camminato stanotte, ma la nostra capanna si trova ad altri 200 metri più dentro nella foresta e seguiamo il sentiero che si biforca in tanti altri percorsi verso altre capanne identiche come fosse un labirinto. Riconosco un ponticello e faccio strada, ad un ulteriore bivio Daniela dice che è per di là, le chiedo scusa se non voglio ascoltarla, le dico di arrabbiarsi pure e vado dall’altra parte che è invece la direzione che ricordo io, e così è. Buia e sinistra vedo in fondo stagliarsi la sagoma della nostra capanna e il cane ci accompagna fino alla porta. Chiedo al cane quanto vuole per averci fatto da guardia fino a casa, lui mi guarda come per dire ‘adottami’ e un po’ dispiaciuto gli chiudo la porta sul muso.
Mi butto sul letto stanchissimo e provato. Domani escursione sul lago, trekking e persino una grotta da percorrere per intero, insomma ancora avventura!
fantastico . coinvolgente