Viaggio in Thailandia – giorno 6

Questo è il foto-diario del mio viaggio in Tailandia, se vuoi leggerlo dall’inizio e/o vuoi avere dettagli tecnici fotografici vai al giorno zero.

Nel post di oggi vi racconto la mia visita a Ban Yot Luan per conoscere la famiglia tailandese di Umberto e vedere una piantagione di caucciù e come si lavora la gomma naturale, cocco e come si lavora il caucciù naturale. Sempre in questo post vi parlo del mio viaggio per raggiungere Ao Nang sulla costa occidentale della Tailandia.

 

Umberto bussa puntuale alle 5. Visto che non sto dormendo è forse la prima volta in vita mia che non desidero che la sveglia venga posticipata. Mi alzo che sono già vestito, mi lavo velocemente, prendo armi e bagagli e partiamo, direzione Ban Yot Luang, il paese della moglie di Umberto. Lì mi mostreranno come si produce il mitico caucciù (che tutti usiamo e di cui non sappiamo praticamente nulla), infatti i familiari acquisiti di Umberto hanno una piantagione di alberi da caucciù e vivono di questo.

Viaggiamo su un pick-up Toyota che Umberto ha noleggiato da Mr Wat per l’occasione. Io metto la benzina e mi pare un equo accordo visto che poi mi accompagnerà anche a Nakhom Si Thammarat a prendere un mezzo per Krabi. Da lì dovrò poi prendere un altro mezzo per Ao Nang dove starò alcuni giorni. Per strada regna ancora il buio, ma i mercati sono già attivi da tempo e c’è un significativo via vai di gente con borse in mano sui bordi della strada nonostante non siano ancora le sei. Chiacchieriamo e questo mi tiene sveglio, il sonno però in certi momenti si fa davvero problematico da gestire. Umberto è una persona vera, che ti fa sentire sempre a tuo agio. Ieri sera, quando siamo andati a cena con i ragazzi del suo staff, mi ha raccontato dello Tsunami del 26 dicembre 2004; lui è un sopravvissuto. In quella data, che a differenza di molti occidentali ricorda con precisione, era a Phi Phi Island perché lì lavorava. Mi ha raccontato di quella vicenda, e degli amici che ha perso, con il contegno di chi sa che quell’esperienza gli ha cambiato la vita per sempre. Chissà se l’Umberto che ho conosciuto è anche un po’ merito di quella catastrofe che, come tutte le tragedie della vita, ci fanno crescere volenti o nolenti rendendoci migliori o peggiori a seconda di come decidiamo di accettarne la fatalità.

Durante il tragitto ci fermiamo da una venditrice di cibo sul ciglio dello stradone per comprare la colazione che consumeremo una volta arrivati a casa: pollo fritto, pan fritto e riso. Sì, colazione salata, come piace al sottoscritto. La signora alla bancarella e la figlia a fianco ridono all’idea di due stranieri con gli occhi chiari che sicuramente non hanno la minima idea di cosa prendere, ma Umberto in tailandese ordina e loro sono piacevolmente stupite. Arrivati in paese passiamo a prendere Hom, la moglie di Umberto, che è da parenti. E’ una donna sulla quarantina dai bei lineamenti, mi dà subito l’impressione di una persona con una forte personalità e che sa con precisione quello che vuole. Il modo in cui si muove fa trasparire sicurezza e determinazione. Mi sembra proprio la donna giusta per Umberto. Visto che abbiamo spazio dietro, carichiamo sul nostro mezzo dei sacchi di concimanti che sono lì per terra accatastati. Do una mano a trasferire sull’auto il carico e ripartiamo. Mentre andiamo mi guardo in giro e mi rendo conto di essere nella vera Thailandia rurale, sulle stradine si vedono galline seguite dai pulcini d700, iso 1100, 24mm, f11, 1/200che beccano in giro e la vegetazione è esuberante. Guadiamo un ruscello col pick-up e mi sento nel bel mezzo di un Camel Trophy. Sulla strada ci fermiamo a d700, iso 2200, f8, 1/125raccogliere due signore che Hom conosce per dargli un passaggio. Le accompagniamo a casa attraverso passaggi improbabili e bagnati dalle passate piogge e rischiamo di impantanarci nella melma. Sulla via, visto che ci siamo, passiamo pure a prendere la suocera e scarichiamo il d700, iso 1100, 30mm, f5,6, 1/50carico di fertilizzante. Il viaggio sta diventando come il tragitto di uno di quei treni accelerati di una volta, che si fermavano a tutte le stazioni e non arrivavano mai. Ma è bello così, questo è lo spirito ormai perduto della ruralità dove ci si aiuta l’un con l’altro senza badare ad orari, tabelle di marcia, planning, time table e diavolerie varie dell’era post-industriale. Ripartiamo non senza difficoltà a causa del fango. Le ruote slittano spesso e il puzzo della frizione bruciata mi pizzica le narici. Umberto fa più manovre per riuscire a non impantanarsi del tutto, gli schizzi di fango partono dalle ruote come proiettili e mi metto a spingere il musone del Toyota durante la manovra decisiva. Alla fine riusciamo a ripartire e ridiamo pensando a Mr Wat che non sarebbe per niente contento di vedere che stiamo usando il suo mezzo come fosse un 4×4 da combattimento.

Arrivati a casa incontro Leonardo, il figlio di Umberto e Hom. E’ un ragazzino dolcissimo e ubbidiente con degli occhi meravigliosi. E’ timido e cerca di dribblare le mie domande sebbene sappia parlare italiano. Umberto mi spiega che hanno vissuto per un periodo tutti e tre in Italia e lì il bambino ha imparato la lingua che adesso d700, iso 1100, 48mm, f3,3, 1/80mantiene viva parlando con il padre. Giocano insieme e si vede subito che nonostante il padre stia spesso via per lavoro c’è affiatamento tra loro. Nel frattempo Hom non si ferma un attimo, la laboriosità asiatica in lei è evidente per come si sia messa a fare mille faccende da quando siamo arrivati senza mai sedersi. Umberto mi fa vedere la casa e mi spiega come piano piano la stanno ampliando cercando di renderla sempre più d70, iso 1100, 48mm, f3,2, 1/80confortevole. Poi mi indica i due caseggiati lì davanti che sono della cognata e dei suoceri. Finalmente ci mettiamo a mangiare la colazione e con noi c’è anche una nipote di Umberto. Arriva anche la suocera, e poi un’altra cognata con un’altra bambina piccolissima che non capisco bene chi sia perché la parentela è davvero molto allargata e comincio a fare fatica a seguire tutte le relazioni. Hom prende in braccio d700, iso 1100, 50mm, f3,2, 1/125questo tenero carboncino di bimba che mi fissa costantemente mentre la fotografo, i suoi occhi mi arrivano come dardi attraverso le lenti dell’obiettivo. Mentre mangiamo un parente si è arrampicato con grande destrezza in cima all’albero difronte per raccogliere dei grappoli gialli di un frutto a me sconosciuto che assomiglia vagamente alle nespole. Mangiamo con il sottofondo di innumerevoli e variegati richiami di uccelli tropicali. Ritemprato dai carboidrati e dalle proteine scendo giù alla piantagione per vedere come si realizza il caucciù, questa gomma naturale che viene utilizzata in tanti prodotti e che utilizziamo tutti quotidianamente: suole delle scarpe, cinturini degli orologi da polso, infradito e tante e tante cose della vita di ogni giorno. Io praticamente non so quasi nulla di questo prodotto eccezionale e quindi non vedo l’ora di scoprirne ogni segreto. La Thailandia è uno dei maggiori d700, iso 2200, 24mm, f3,2, 1/50produttori di questa pianta che nasce in Amazzonia ma che è in Asia che ha trovato la sua maggiore coltivazione. La gomma si ottiene applicando un’incisione diagonale agli alberi da caucciù, un recipiente legato al tronco raccoglie il lattice sgocciolante che poi viene trattato per renderlo gommoso e resistente. Questa linfa viene raccolta dai lavoratori in sacchi di iuta e poi versata in ciotole d’acciaio insieme ad acqua ed un addensante chiamato in tailandese Nam Som e che non è altro che acido formico. Tutta la famiglia si dà da fare nel laboratorio all’aperto adiacente ai campi intorno alla casa. Centinaia di alberi stanno lì in ordinate file tutti intaccati e con la loro bella ciotolina su cui gocciola lentamente e costantemente il prezioso liquido. E sebbene si stia da tempo cercando in tutti i modi di creare una gomma sintetica che possa competere con il caucciù, la gomma naturale non ha eguali per qualità. Osservo con attenzione e scatto. Vedo i familiari di Umberto muoversi con confidenza ripetendo operazioni che hanno fatto milioni di volte, si danno il cambio con una naturalezza tale che a volte non mi accorgo nemmeno che ad eseguire i movimenti adesso sia un altro componente della famiglia. Versano attraverso un grosso colabrodo il latteo liquido d700, iso 1100, 32mm, f3,2, 1/200dal saccone ad un grosso secchio, poi lo diluiscono con acqua e d700, iso 1100, 24mm, f3,5, 1/400addensante, e dopo lo distribuiscono nelle ciotole d’acciaio. Aspettano che solidifichi e conseguentemente svuotano i contenitori su un tavolaccio. Ne escono dei grossi panetti color panna che le abili mani di una donna in grembiule arancio schiacciano e maneggiano con confidenza. Appiattito il panettod700, iso 1100, 24mm, f3,2, 1/200 la donna comincia a stenderlo con un grosso mattarello celeste fino a farne una sorta di lunga e spessa pizza. Poi la gomma viene passata attraverso un grosso appiattitore manuale a rullo proprio come si fa per stendere la pasta fresca. La donna mentre maneggia l’impasto mi sorride vedendo che non la smetto di scattare e il ragazzo che gira la manovella dice qualcosa che fa ridere tutti e anche me sebbene non abbia capitod700, iso 800, 24mm, f3,5, 1/400 una parola. Alla fine dell’operazione se ne ricavano dei grossi fogli ancora un po’ spessi che vengono dopo passati attraverso un’altra macchina molto simile e sempre a manovella. Questa però ha i rulli scanalati che appiattiscono ulteriormente i fogli di gomma dando loro una rigatura per tutta la lunghezza del foglio. A quel punto i sottili tappetini di caucciù sono pronti per essere stesi all’aria su lunghi assi di legno ad asciugare. Vengono infine conservati in arieggiati d700, iso 800, 24mm, f3,5, 1/60magazzini, lasciati appesi ai tetti per prendere lentamente il tipico colore giallognolo della materia prima.

Guardo tutto il processo con lo stesso stupore di un bambino, non mi immaginavo che,ancora nel secondo millennio, la produzione di un materiale tanto diffuso anche in prodotti industriali potesse essere interamente artigianale. Dalla raccolta, alla lavorazione, fino all’essiccamento è un processo manuale che non conosce meccanizzazione di alcun tipo. Giustamente Umberto mi fa notare che gli alberi rilasciano il loro siero goccia dopo goccia con i tempi della natura e non c’è quindi alcuna ragione per accelerare tutto il procedimento restante.

Lascio il paese di Ban Yot Luang carico di nuovo sapere e contento di aver anche conosciuto meglio Umberto, ho visto la casa dove vive la sua famiglia tailandese e i luoghi che ama profondamente. Adesso un pezzo della sua vita rimarrà per sempre con me come un caro ricordo. Ci avviamo verso Nakhom Si Thammarat e arrivati a destinazione saluto Umberto e Hom con una certa nostalgia. So però che rivedrò presto il toscano di Khanom, alcuni vestiti li ho infatti lasciati a casa sua per alleggerirmi lo zaino e, come da accordi, passerò a riprendermeli prima di cominciare a risalire il paese verso nord. Salgo di corsa su un pulmino che sta già per partire alla volta di Ao Nang sulla costa occidentale per visitare quella parte di mare e isole.

Viaggio su un pulmino da sedici posti la cui ultima fila, fatta da quattro sedili, è vuota, mi seggo in fondo sperando di poter stare più comodo. Ho un sonno maledetto e ho la tentazione di distendermi per lungo visto che le sedute al mio lato sono vuote. Sono l’unico occidentale del pulmino e non vorrei risultare un cafone che occupa quattro posti per sé, probabilmente saliranno altri passeggeri. Così è. Monta poco dopo una giovanissima mamma con due figli di cui una bimba neonata che strilla come fosse indemoniata. La mamma prova ripetutamente ad infilarle il biberon in bocca per zittirla ma più le spinge la tettarella tra le labbra e più lei urla. La madre, tra una biberonata e l’altra, la scuote costantemente come fosse una sveglia rotta che non si vuole spegnere, e la bimba guaisce come se la stessero scotennando viva. Saranno le grida ma mi sembra la neonata più brutta del mondo. Il viaggio dura due ore e mezza e la bambina si quieta verso metà del tragitto, dopo un po’ madre e figlia scendono, ma io non riesco a dormire nemmeno dopo. Durante il tragitto chiamo Federico. Si tratta di un amico di Umberto che ha una Guest House ad Ao Nang non avendo però più camere libere, lui mi aiuterà a trovare una stanza da qualche altra paarte. Lo avviso per telefono che sto partendo. Mi dice che quando arriverò a Krabi dovrò prendere un ‘sorng-taa-ou’ fino al supermercato Tesco. Lui ha la Guest House lì vicino. Devo prendere un che?! Un ‘sorng-taa-ou’ (pronunciato ‘son tao’), una specie di furgoncino su cui tutti si arrampicano e che noterò subito appena scenderò. Andiamo bene, penso. Arrivato a Krabi nemmeno il tempo di smontare e dei tizi mi chiedono dove voglio andare. Ao Nang! Di qua! Salgo su un furgone che ha delle panche dietro per sedersi e una tettoia fatta da tubi di zinco e ricoperta da un telo, butto i bagagli sulla tettoia e mentre prendo posto altri si attaccano al mezzo e viaggiano in piedi su una sorta di predalino posteriore. Sono su un ‘sorng-taa-ou’… eccolo! Con me ci sono asiatici e anche un paio di europei accompagnati da donne tailandesi. Parlano nella lingua locale e capisco che non sono turisti. Man mano che ci avviciniamo ad Ao Nang scendono gli asiatici e salgono gli occidentali, dopo un po’ la maggioranza sul furgoncino è di razza bianca. Scendo al Tesco come mi è stato detto e dopo qualche minuto arriva Federico con un side-car. Salgo su e mi porta in un alberghetto. Lì pago una stanza per due notti 1200 bath al giorno per come mi era stato già preannunciato. Non è proprio il prezzo che avrei voluto pagare ma pare che Ao Nang sia diventata carissima ultimamente. Ci accordiamo con Federico che salgo un attimo a sistemarmi per poi andare da lui affinché mi possa dare delle informazioni base sulla località. Salgo in camera e trovo una stanza arredata in maniera molto semplice ma con doccia (vera), acqua calda, frigo e aria condizionata. Insomma un vero lusso per la mia vacanza. Ma sì, mi dico. Mi posso pure permettere €30 di stanza! In Italia sarebbe un affarone. Poggio tutto e Vado da Fede a farmi spiegare cosa fare e vedere nei dintorni. E’ un ragazzo sulla trentina, non molto alto, magro, con un cappellino da baseball e il tipico aspetto da sportivo, qualcosa tra arrampicata e surf. E’ spigliato ed efficiente. Ha delle escursioni da propormi e sicuramente ne farò alcune, certamente avrà la sua commissione ma ho la certezza che non ci siano fregature dietro. In un battibaleno mi fa anche affittare uno scooter al prezzo giusto. Carico di tutte le informazioni che mi ha dato (ma anche un po’ stordito) me ne vado avendo preso un’unica decisione: domattina presto comprerò i biglietti dove mi ha spiegato lui e prenderò una barca per andare a vedere le spiagge nei dintorni. Salgo sulla moto (che, con le sue fiammate rosse sulla carrozzeria, è sicuramente molto maschia ma non ha la personalità della mia ‘Fiore’) e girovago un po’ a zonzo per orientarmi.

d700, iso 200, 24mm, f9, 1/125Ao Nang è una cittadina sul mare con una ampia spiaggia, la vista risulta affascinante e surreale per la bassa marea e le isole che come cocuzzoli spuntano sull’orizzonte. Il luogo però pullula di turisti occidentali ed è quindi simile, in certi suoi aspetti, a tante altre località balneari dove spadroneggiano gli ariani. Noto subito un McDonalds e uno Starbucks che mi dice tutto del posto in cui sono arrivato. Comincia a far buio e punto verso la base. Una volta in stanza mi corico strafatto di sonno con l’intenzione di dormire un’oretta per poi mettermi a scrivere. Mi sveglio sei ore dopo che è quasi l’una del mattino. Impreco. Adesso come faccio a pubblicare il diario per tempo, mi chiedo. Faccio una doccia calda e mi metto subito a lavoro. Riesco a finire alle otto di mattina. Completamente rincretinito mi metto a letto dicendomi che la gita alle spiagge è rinviata. Sta diventando faticosa questa vacanza!

2 Comments on “Viaggio in Thailandia – giorno 6

  1. …giorno 5 & giorno 6 in cosi breve tempo??? Hai messo il turbo??? Benissimo!!!

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